LIBERA NOS A MALO: VIAGGIO NELL’ANTICA CAPUA TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO – prima parte

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tratto dall’elaborato di laurea di Andrea Zippaponte romano quadro LIBERA NOS A MALO: VIAGGIO NELLANTICA CAPUA TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO   prima parteCapua Antica, odierna Santa Maria Capua Vetere, era la seconda città dell’Impero per grandezza e importanza: a lungo capitale dei Campani, conobbe un susseguirsi di dominazioni, dagli Etruschi ai Romani passando per i Sanniti e per i Cartaginesi, rivaleggiando sempre e costantemente con Roma. Tutti questi dominatori lasciarono un’impronta di enorme importanza nella pianta cittadina e nella stessa mentalità del popolo capuano, permettendo un enorme sviluppo alla città: testimonianza di ciò si ritrova nell’imponente mole di reperti archeologici conservati in situ ma anche sparsi in giro per il Mondo, nei più importanti musei del globo. Senza dubbio un ruolo importantissimo all’interno della popolazione fu svolto dalla spiritualità: da sempre gli uomini e le donne di Capua ebbero fortissimi legami prima con le divinità pagane, sia locali e tradizionali sia orientali, poi con il Dio cristiano e particolarmente con la Vergine Maria, oggetto di una venerazione ancora oggi molto sentita, come testimonia lo stesso nome moderno assunto dalla città; tanto agli dei pagani quanto a Dio e alla Madonna i Capuani si rivolgevano per impetrare le più disparate richieste, riguardanti tuttavia principalmente la salute fisica e morale, del proprio corpo e del proprio spirito, come vedremo analizzando gli ex voto provenienti dai santuari e le invocazioni rivolte alle principali divinità cittadine. Testimonianza di questo forte spiritualismo è il gran numero di templi e di edifici religiosi, sia pagani che cristiani, fondati a Capua Vetere nel corso dei secoli e di cui tuttora rimangono tracce più o meno evidenti nell’attuale tessuto urbano.

 Cercherò di evidenziare i più notevoli esempi di edifici religiosi presenti nel territorio di Capua Antica, inserendo per ognuno di essi una breve cronotassi, esemplificativa e necessaria per ripercorre la storia propria di ogni struttura e i lavori di scavo condotti per portarla in luce, e individuando successivamente la divinità venerata in quel santuario e i materiali votivi che le venivano consacrati, nonché le evidenze antiche ancora oggi presenti e, nel caso di strutture cristiane, anche i materiali di spoglio qui reimpiegati, magari più con funzioni ideologiche che per un mero risparmio economico; cercherò inoltre di soffermarmi anche sui principali ritrovamenti provenienti dagli edifici templari, sia quelli attestati archeologicamente e ancora oggi visibili sia quelli purtroppo scomparsi o distrutti e sui quali rimangono solo testimonianze letterarie e/o fotografiche. Soprattutto per quanto riguarda la sezione dedicata al Cristianesimo capuano ci sarà qualche incursione al di fuori dell’età classica, specie nel periodo medievale e talvolta fino all’età moderna e contemporanea, come nel caso della Basilica di Santa Maria Maggiore che, nella sua forma attualmente visibile, risale ai lavori di consolidamento e rifacimento del ‘700/’800. Oggetto della trattazione saranno, come già ricordato, i principali edifici sacri di Capua: inzieremo con l’analisi del Tempio di Diana Tifatina, sui resti del quale sorge attualmente la Basilica Benedettina di San Michele Arcangelo in Sant’Angelo in Formis, e del Tempio di Giove Tifatino, cui è collegata una querelle relativa alla collocazione del Capitolium capuano; a seguire il Santuario del Fondo Patturelli, del suo scavo sommario, che ha comportato la perdita di numerosi elementi dell’edificio antico, e della difficile questione delle Matres Capuanae; seguirà la descrizione del Mitreo di Capua, uno dei più importanti d’Italia e del Mondo, perfettamente conservato nelle sue forme e nei suoi affreschi: in questa sezione tra l’altro troverà posto anche un interessante parallelismo tra Mitraismo e Cristianesimo, due religioni apparentemente così lontane ma in realtà più vicine tra loro di quanto superficialmente possa sembrare; infine l’ultimo capitolo della mia trattazione sarà dedicato al Cristianesimo a Capua, analizzando tre complesse questioni: la collocazione della sede vescovile e della cattedrale nell’Antica Capua, l’identificazione della Basilica Costantiniana e dell’esatta funzione del misterioso Catabulum, la nascita della Basilica di Santa Maria Maggiore a partire dalla sua cripta sotterranea.

Prima di passare concretamente all’analisi di questi edifici, è tuttavia d’uopo inserire una ricostruzione topografica della città, volta ad individuare la sua pianta e i principali edifici pubblici visibili anticamente e attualmente, aggiungendovi anche una sezione utile a individuare i principali culti pagani praticati in città nonché la tradizione sull’arrivo e la diffusione del Cristianesimo a Capua, legati alla misteriosa figura di San Prisco, primo vescovo cittadino.

 È arrivato tuttavia il momento di cominciare questo viaggio, a partire da una breve cronistoria che possa affrontare la bimillenaria esistenza della città di Capua Vetere.

CAPITOLO I

CAPUA ALTERA ROMA: DA CAPUA A SANTA MARIA CAPUA VETERE

1.1: La collocazione geografica di Capua: la Pianura Campana

L’area in cui sorgeva e ancora sorge Capua è una delle più fertili dell’Italia centro-meridionale e dell’Italia in genere: si tratta della Pianura Campana che si estende fra il Volturno e il Vesuvio: essa si presenta totalmente piatta ed è una delle zone più fertili d’Italia. La piana confina a nord con il Sannio, da cui è separata dalla Catena del Matese, e a nord-ovest con il Lazio, la cui barriera naturale è costituita dai Monti Aurunci; anche a sud e ad est essa è circondata da montagne mentre solo ad ovest arriva fino al mare, dove una cintura di dune sabbiose si estende da Castel Volturno fino a Cuma e anche oltre. Sono due i fiumi principali che bagnano la pianura: il Volturno e il Clanio: entrambi hanno le sorgenti lungo il versante più occidentale dell’Appennino e sfociano poi nel Tirreno. Il Volturno, che nasce nel Sannio settentrionale, presso Isernia, raccoglie quasi tutte le acque montuose sannitiche e sbocca quindi sulla piana; è un fiume particolarmente ricco d’acqua e dalla corrente impetuosa nonostante la scarsa pendenza, caratteri che dovevano apparire ancora più rilevanti nell’antichità; le sue acque apparivano, così come quelle del Tevere, di colore giallo sporco a causa della molta sabbia; inoltre, essendo ricco d’acqua, non era possibile il suo guado, e, soprattutto in primavera, quando la pioggia ne ingrossava il corso, diveniva un serio problema per le operazioni belliche; era navigabile con piccole imbarcazioni. Il Volturno con i suoi affluenti Isclero e Calore forma un bacino idrografico di vasta importanza come via di penetrazione verso l’interno della regione. Il Clanio (anticamente chiamato Clanis o, secondo la forma latina, Clanius) scorre invece più a sud del Volturno: esso nasce da parecchie sorgenti presso Abella, ai piedi del Monte Vergine, scorre a nord di Nola e, formando un grande arco, passa a sud di Acerra; per un certo tratto scorre parallelo al Volturno non riuscendo però a irrompere attraverso le dune sabbiose della costa, e sfocia nel mare presso l’antica Liternum dopo aver attraversato la laguna sabbiosa del Lago di Patria. Già nell’antichità l’acqua di questo fiume ristagnava, appestando la zona, soprattutto la città di Acerra, come ricorda Virgilio:

et vacuis Clanius non aequos Acerris […]”.

 Nel Medioevo l’impaludamento aumentò rendendo inabitabile un’ampia zona della Campania e solo in età moderna con i Borbone si è provveduto a bonificare il corso d’acqua con la creazione dei “Regi Lagni”: il fiume fu canalizzato e gli fu scavata una nuova foce e un nuovo letto stravolgendo tuttavia in questo modo il suo antico corso, specie presso Acerra. Oltre ai due fiumi maggiori vanno tuttavia ricordati anche il Sarno, più breve rispetto al Volturno e al Clanio ma molto ricco d’acqua, il cui estuario, come anche quello del Volturno, serviva da porto ed era navigabile per un buon tratto, il Savone, un corso d’acqua a carattere torrentizio, a nord del Volturno, e infine il Garigliano, che rappresenta il principale corso d’acqua della regione aurunca, al di là dei confini tradizionali della Campania vera e propria. Abbiamo detto della fertilità della terra campana che per gli antichi era addirittura miracolosa, degna del primo posto accordatole da Virgilio nel secondo libro delle Georgiche:

 “[La terra] che esala una lieve nebbia e un’aleggiante fumea e assorbe a suo piacimento e restituisce da se stesso gli umori e si riveste di una verde erba spontanea, e non lede con la scabbia dell’aspra ruggine il ferro, t’intreccerà le ridenti viti ai tronchi degli olmi: esso è fertile d’olio, e coltivandolo lo troverai benigno al bestiame e arrendevole al vomere ricurvo: una tale terra arano la ricca Capua e i lidi prossimi al Vesuvio, e il Clanio ostile alla deserta Acerra”.

 Secondo gli agronomi antichi questa terra era in grado anche di produrre ogni anno fino a tre messi di farro e di miglio, legumi, fiori per creare profumi, canapa; le terre del basso Volturno e del Clanio erano invece luogo di allevamento di cavalli.

La miglior descrizione della Pianura Campana, nonché la più puntuale ed efficace, è quella contenuta nell’opera dello storico greco Polibio:

“Le pianure intorno a Capua sono le più rinomate di quelle in Italia sia per prosperità sia per bellezza sia per la vicinanza al mare e per i rapporti con questi luoghi di commercio, verso i quali approdano vicino da tutta la terra abitata all’Italia la gran parte. Contengono in esse anche le più insigni e belle città dell’Italia. Infatti occupano il litorale di queste gli abitanti di Sinuessa e di Cuma e di Dicearchia/Pozzuoli, vicino a questi gli abitanti di Napoli, infine il popolo dei Nocerini. Nell’entroterra a nord abitano gli abitanti di Cales e di Teano e a est e a sud gli abitanti della Daunia e quelli di Nola. Nel mezzo delle pianure sorge la città di Capua che un tempo fu la più ricca tra tutte. […] a ciò che abbiamo già detto sembra che le pianure allo stesso tempo siano luoghi fortificati e assolutamente difficili da invadere: infatti esse sono protette dal mare e per di più da montagne grandi dappertutto e in modo ininterrotto, tra le quali esistono solo tre passaggi dall’entroterra, stretti e poco praticabili, il primo dal Sannio, il secondo dal Lazio, il rimanente dai luoghi degli Irpini”.

 Capua sorgeva al centro della piana, non lontano dai contrafforti del Preappennino e dalla stretta di Triflisco, a circa 50 m sul livello del mare e al riparo dalle inondazioni del Clanio. Proprio qui passava la via naturale, proveniente dalle valli del Sacco e del Liri, che attraversava il Volturno in uno dei guadi più praticabili nella stagione di secca, nel luogo in cui sorse Casilinum, da sempre soggetta a Capua; la città era anche vicina ai porti naturali dei Campi Flegrei che però a lungo non ricaddero sotto il suo possesso, trovandosi sotto il potere dei Cumani. Da Capua partivano infine diverse vie verso l’interno, dove si erano attestati vari popoli di lingua italica, e verso i valichi che conducevano al Tavoliere delle Puglie. Senza dubbio però la più importante tra queste strade fu la Via Appia, aperta dal console Appio Claudio Cieco tra IV-III secolo a.C. per scopi militari ma poi rivelatasi di grande importanza economica e commerciale.

1.2: Le origini di Capua: il nome, la fondazione e il periodo di egemonia etrusca

Per quanto riguarda la fondazione di Capua vi sono ampi dubbi sia tra gli antichi che tra i moderni: essa viene comunemente attribuita agli Etruschi ma in realtà vi sono profonde divergenze tra gli studiosi nel determinarne la data di nascita; inoltre si sovrappongono alle poche fonti che abbiamo anche notizie mitologiche e inattendibili. Secondo Karl Julius Beloch Capua non sarebbe una delle più antiche città d’Italia: egli infatti notava che il luogo in cui sorge, una pianura senza alcuna protezione naturale, farebbe supporre un livello di sviluppo piuttosto avanzato nell’arte delle fortificazioni e per di più in uno Stato bene organizzato; inoltre, secondo lo studioso, questo sarebbe attestato anche dall’organizzazione razionale nella costruzione della città visibile anche nel preciso orientamento est-ovest del Decumanus Maior. Insomma per Beloch “sotto questo aspetto Capua costituì il modello di un impianto urbano italico”.

Velleio Patercolo (I sec. a.C./I d.C.) ricorda che Catone (III-II sec. a.C.) nelle Origines stabiliva che la città sarebbe stata fondata dagli Etruschi circa 260 anni prima della resa di Capua a Roma: non sappiamo se qui si faccia riferimento alla resa del 343 a.C. o alla sconfitta nella Seconda Guerra Punica nel 211 a.C. (nel primo caso dunque ci troveremmo intorno al 600 a.C., nel secondo intorno al 470 a.C.); tuttavia lo stesso Velleio, richiamandosi ad un’antica tradizione campana, contesta la data catoniana e fissa la fondazione della città all’800 a.C. circa, mostrando, a riprova di ciò, l’esistenza di Capua al momento della colonizzazione greca di Pitecussa e di Cuma: le due date evidentemente si riferiscono a due momenti cruciali della storia cittadina. Se negli studi passati aveva conosciuto maggiore fortuna la data di Catone tuttavia i ritrovamenti archeologici degli ultimi anni sembrano confermare la data di Velleio: sono state infatti ritrovate tombe risalenti al IX secolo a.C. che provano senza dubbio l’esistenza di un insediamento abitato da un popolo di cultura “villanoviana”. Tra l’altro lo stesso Beloch riconosce che già prima della colonizzazione etrusca potrebbe essere stato creato un insediamento sul territorio capuano come mostrano i toponimi della zona circostante alla città, molto vicini a quelli del Lazio e dell’Etruria meridionale: ciò sarebbe “indizio del fatto che in tempi preistorici la stirpe latina si è propagata in un ampio raggio lungo le coste occidentali dell’Italia e formò un’unità geografica con i Siculi”. Un’altra notizia interessante ci proviene da Strabone (I sec. a.C./I d.C.) secondo il quale in Campania gli Etruschi avrebbero fondato una dodecapoli a capo della quale ci sarebbe stata Capua: per Werner Johannowsky:

“la scelta del numero potrebbe risalire ad una visione storico-filosofica della fonte cui è stata attinta, in analogia con quanto affermato per l’Etruria stessa e l’Etruria Padana, ma l’ipotesi potrebbe avere un fondamento reale, se consideriamo che la creazione di una cultura urbana nelle pianure della Campania è dovuta (…) principalmente agli Etruschi e che l’aristocrazia dei centri non propriamente etruschi doveva essere, tra il VI e V secolo a.C. etruschizzata, se non parzialmente etrusca”.

Abbiamo sopra accennato anche a tradizioni leggendarie sulla nascita della città: infatti Virgilio afferma che la città di Capua sarebbe stata fondata da un eroe troiano da cui avrebbe anche preso il nome, ovvero Capys che risulta essere parente del fondatore di Roma: in questo modo viene collegata anche Capua alla leggenda di Enea. Si legge infatti in un verso dell’Eneide:

 “Et Capys: hinc nomen Campanae ducitur urbi”.

Concordano con Virgilio anche Silio Italico, Svetonio (che tra l’altro ricorda come i Capuani onorassero il cenotafio di Capys) e Celio Antipatro; in realtà tuttavia già nel 500 a.C. circa Ecateo nella sua Europa conosce la città come Καπύα: ce ne dà testimonianza Stefano di Bisanzio (VI secolo a.C.) nei suoi Ἐθνικά:

  Nel Commento all’Eneide invece Servio, pur riconoscendo come fondatore Capys, suppone che questi sarebbe stato un sannita; Dionigi di Alicarnasso infine, nelle sue Antichità Romane, afferma che addirittura sarebbe stato Remo, fratello di Romolo, ad imporre il nome Capua alla città in onore del suo avo. Altri autori propongono una diversa origine per il nome della città: ad esempio Polibio riferisce che l’etimologia del termine Capua sarebbe caput cioè capitale proponendo però, secondo Beloch, il primo esempio di quei falsi etimologici che avrebbero alterato tutta la storia cittadina più antica; Plinio invece scrive:

 “Capua ab campo dicta

rifacendosi ad una caratteristica del territorio: anche questa etimologia tuttavia sarebbe errata e “leggendaria in quanto presuppone una confusione con i ‘Campani’, cioè con i Sanniti insediatisi nella pianura pertinente a Capua, che si costituirono (…) in tribù”, come afferma Johannowsky. In un momento successivo intervennero gli antiquari esperti della lingua etrusca: così nel commentario di Servio all’Eneide leggiamo che il termine Kapys avrebbe indicato in etrusco un rapace appartenente alla famiglia dei falchi: così Καπύη sarebbe la “Città dell’avvoltoio”; il termine venne poi tradotto in latino come vulturnum da cui sarebbe derivato il primo nome cittadino, ricordato anche da Livio, il quale aggiunge che la città lo avrebbe mantenuto fino alla conquista sannitica del 421: in realtà Volturnum in età romana era il nome dell’emporio portuale alla foce del fiume omonimo dove nel 194 a.C. fu dedotta una colonia.

Così come sono oscure le origini della città e del suo nome, parimenti abbiamo scarse notizie sui suoi primi anni di vita. Abbiamo detto che gli Etruschi sarebbero stati i fondatori di Capua, ponendola a capo della federazione delle città tirreniche in Campania: in questo modo essa poté fiorire per diversi secoli, fino alla conquista sannita alla fine del V secolo a.C.; sappiamo però ben poco sulla storia capuana di questi secoli e le uniche testimonianze ci provengono da contesti sepolcrali: dai corredi funerari emergono alcune forme ceramiche tipicamente villanoviane e dunque proto-etrusche che si ritrovano anche in altre aree dell’Etruria, sia meridionale che settentrionale; tuttavia vi sono anche delle forme vascolari tipicamente capuane e peculiari di quest’area. Dal poco che si conosce dell’onomastica capuana di origine etrusca Johannowsky è portato a pensare che molto probabilmente dovette esistere “una comunanza tra [i centri etruschi] con l’intento di dominare la via terrestre per cui l’ambra, forse insieme con altri prodotti […], raggiungeva il Tirreno. Capua era probabilmente lo sbocco verso Sud di questa via, in quanto tale materia è qui particolarmente abbondante fino ad oltre la metà dell’VIII secolo”. Per quanto riguarda gli avvenimenti storici di questa prima fase di Capua si ha notizia di una cronaca redatta da un anonimo autore di V sec. a.C. che servì come fonte per Dionigi di Alicarnasso (I sec. a.C.) in cui viene ricordato nel 524 a.C. un attacco contro Cuma da parte di Etruschi provenienti dall’Adriatico in seguito al quale vari barbari che avevano partecipato all’impresa come mercenari si stanziarono in Campania: Capua non è nominata direttamente nel racconto di questo episodio, tuttavia secondo alcuni la sua fondazione va collegata a questi avvenimenti che portarono ad un incremento della popolazione nella Pianura Campana. La città è invece esplicitamente menzionata in occasione di un altro episodio avvenuto nel 474 quando gli aristocratici cumani, esuli a causa della politica del tiranno Aristodemo, si rifugiarono a Capua dove ebbero rapporti clientelari con l’aristocrazia locale, disponendo di mercenari Campani, cioè Sanniti: infatti nel corso del V sec. a.C. il popolo sannita, appartenente al ceppo osco-sabellico, dalle zone interne della Campania, spinto dalle prospettive economiche positive offerte dalla città, vi trovò posto come manodopera servile sottoposta agli Etruschi; questi ultimi tuttavia nel 438 a.C. concessero loro il diritto di cittadinanza: in questo modo si operò una distinzione tra Pentri, cioè i Sanniti delle montagne, e Campani. Secondo Greco e De Caro, questo è “il momento conclusivo di istituzionalizzazione di un processo certamente più antico e più complesso. La formazione del popolo campano nasceva evidentemente in antagonismo con la signoria etrusca”. La radice etrusca cittadina comunque non fu mai eliminata del tutto: arte, lingua e costumi etruschi rimangono predominanti a Capua anche quando ormai l’egemonia etrusca in Campania è tramontata da un pezzo.

1.3: Dalla presa dei Sanniti alla conquista romana di Capua

Alla fine del V sec. a.C. il dominio etrusco su Capua fu rovesciato e la città cadde in mano sannita: ciò avvenne dopo un duro assedio alla fine del quale i Sanniti entrarono in città e uccisero a tradimento gli aristocratici dopo averli privati di tutti i beni: essi formeranno la nuova aristocrazia, quella degli equites. Tuttavia Beloch nota molte similitudini tra questo episodio e la conquista di Messana da parte dei Campani: arriva allora ad ipotizzare che quest’ultimo racconto sarebbe servito come modello su cui plasmare quello relativo a Capua. Ora sorge un problema sulla data della conquista sannita di Capua: infatti gli annali greci affermano che essa avvenne al tempo in cui era arconte eponimo Theodoros, dunque nell’anno 438-437 a.C., laddove gli annali usati da Livio la datano al consolato di C. Sempronio e Q. Fabio, ovvero nel 421 a.C.: secondo Beloch è da preferire la prima notizia poiché nel 421 a.C. avvenne la presa sannita di Cuma ed è impossibile che entrambe le città fossero state conquistate nello stesso anno. Nel giro di pochi decenni comunque i Sanniti giunsero alla conquista di tutta la Campania: si formarono a questo punto tre leghe capeggiate rispettivamente da Nocera, Nola e Capua, quest’ultima, a capo della Lega Campana, la più importante per estensione e potenza. La sola Neapolis permise il contatto tra Campani e Greci, esercitando una forte influenza sui territori sanniti: basti pensare che prima dell’arrivo dei Romani la moneta napoletana era la più diffusa in Campania, andando ad influenzare anche le monete campane. Oltre alle monete, a poche terrecotte votive, a due sculture in tufo e a qualche iscrizione su dei cippi chiamati Iuvila non abbiamo nessun’altra testimonianza archeologica che documenti questa fase di dominio sannita su Capua: il quadro archeologico dunque è incompleto e insoddisfacente. Si conoscono le istituzioni della Capua sannita grazie a Tito Livio che le testimonia, integrato talvolta dalle testimonianze epigrafiche degli Iuvila: esse risultano analoghe a quelle degli altri stati sannitici con una differenza sostanziale data dal fatto che a Capua solo gli equites, ovvero l’aristocrazia, avevano il diritto di cittadinanza pieno; il governo era esercitato dal collegio dei meddices, che forse rappresentavano le circoscrizioni territoriali, mentre il meddix tuticus era a capo del touto, ovvero l’intero territorio controllato dalla lega; invece il kombenniud o senatus fungeva da Consiglio. L’economia capuana era basata su agricoltura, commercio e artigianato locale di alto livello, ma anche sull’allevamento di cavalli, come dimostra il carattere equestre dell’aristocrazia. L’indipendenza di Capua sannitica durò per quasi cento anni fino all’arrivo in Campania, alla metà del IV sec. a.C., dell’influenza di una nuova potenza, quella di Roma. I Romani, che necessitavano di continuo approvvigionamento di grano, erano da sempre interessati alla fertilità della Pianura Campana e dalle sue potenzialità agricole e gravissimo fu per loro fu il divieto di commercio nella regione imposto dai Sanniti nel 411. Nella prima parte del IV sec. a.C. i Romani erano impegnati con l’invasione dei Galli e con le guerre con Ernici e Latini; tuttavia a partire dalla metà del secolo si offrì loro l’occasione giusta per mettere le mani su quella ricca area d’Italia.

Nel 346 a.C. cominciò lo scontro tra Campani e Lega Sannitica, causato dalle mire espansioniste di quest’ultima a danno dei Sidicini, stanziati nella zona dell’attuale Teano: tale conflitto causò l’espansione romana in Italia Meridionale a danno dei popoli locali. Infatti i Campani, di fronte al conflitto imminente, decisero di chiedere aiuto a Roma, che in questi anni andava espandendosi in Etruria, venendo accolti nella confederazione romano-latina. Il racconto di questo episodio è stato tramandato da Livio, che ne ha lasciato una descrizione drammatica raccontando che gli ambasciatori Campani si presentarono in Senato in preda alla disperazione offrendo, in cambio dell’aiuto, loro stessi, la loro città e i loro beni in proprietà al popolo romano. Come fa notare Beloch, tuttavia, “tutto questo racconto non è nient’altro che una tendenziosa invenzione degli annalisti posteriori”: infatti all’epoca Roma era parte della Lega Latina e dunque non poteva prendere iniziative sua sponte; inoltre la Campania era una preda molto allettante per i Romani e dunque non vi erano motivi per complicare con condizioni vessatorie il suo ingresso nella Lega. Ad ogni modo Capua e i Campani entrarono nella confederazione romano-latina durante la Prima Guerra Sannitica, durata dal 343 al 341 a.C.; oggi vi sono dubbi sulla reale esistenza di questo conflitto ma, in ogni caso, sicuramente avvennero tre battaglie, presso Saticula, sul Monte Gauro e presso Suessula, grazie alle quali Roma estese la sua egemonia sulle città campane. Con l’ingresso di Capua nella Lega cambiarono gli equilibri perché Lazio e Campania uniti avranno il maggior peso politico; proprio per questo motivo i federati richiesero l’equiparazione dei diritti politici: così il Lazio ottenne la civitas optimo iure (ovvero la cittadinanza romana e il diritto di voto) mentre alcune città campane, tra cui Capua, ricevettero la civitas sine suffragio (cioè la cittadinanza senza diritto di voto), istituzione che serviva semplicemente per permettere a queste comunità di lingua diversa di inserirsi nello Stato romano. Nel 327 a.C. cominciò la Seconda Guerra Sannitica durante la quale, nel 316 a.C., con la battaglia di Lautulae, nei pressi dell’odierna Terracina, i Sanniti restaurarono il loro potere sulla Campania e Capua defezionò, creando un grave momento di crisi per i Romani. Tuttavia, in seguito ad una grande sconfitta dei Sanniti ad Aquinum, a Capua riprese forza il partito filoromano, la città si sottomise di nuovo a Roma consegnando i promotori della defezione e ottenendo nuovamente lo status di civitas sine suffragio. In relazione con questi avvenimenti fu creata una nuova magistratura per amministrare la Campania, la praefectura Capuam Cumas, secondo Livio su richiesta degli stessi Campani per appianare le discordie interne alle loro comunità. Un importantissimo avvenimento che si ebbe durante la Seconda Guerra Sannitica fu l’avvio della costruzione della Via Appia nel 313-312 a.C., utilizzando i Sanniti caduti prigionieri nel corso della controffensiva romana, per mettere in collegamento diretto Capua e Roma; nel III secolo a.C. il suo percorso sarà prolungato poi fino a Brindisi. Nata originariamente per scopi militari, garantendo un più rapido movimento di truppe per un controllo più capillare dei Romani sul Sud Italia, divenne poi una via di commercio e di cultura importantissima. Da questo momento Capua, seppure funestata varie volte dalle scorrerie dei Sanniti, non svolgerà più alcun ruolo autonomo nelle guerre contro il Sannio. Bisogna comunque sottolineare che, nonostante la soggezione ai Romani e alle loro leggi, la città manterrà ancora a lungo costumi e istituzioni sannitiche e la lingua osca in caratteri etruschi.

Fine della prima parte…alla prossima