recensione di Mariantonietta LosannoNella seconda serata della rassegna cinematografica di Capua “Dall’Arena allo Schermo” è stato proiettato il film “Dafne”, diretto da Federico Bondi. Ancora una volta una grande affluenza e una grande partecipazione da parte del pubblico.
La seconda serata è stata una sorta di “cineterapia”, un’occasione per gli spettatori di alleviare le proprie sofferenze. Questo è stato possibile grazie al lavoro del regista e da quello che è emerso nel dibattito con il direttore artistico del Festival, Francesco Massarelli, che ha creato un clima più intimo e familiare, in cui il pubblico si è sentito a proprio agio a tal punto da poter dare libero sfogo alle proprie emozioni. Questo dimostra che il cinema ha un grande potere e che i film previsti per gli otto incontri del Festival daranno sicuramente modo non solo di diffondere e apprezzare il cinema italiano, ma anche di confrontarsi con se stessi, in maniera leggera e mai forzata.“Dafne” è un’opera autentica, delicata e profondamente umana. Racconta la storia di una ragazza Down vivace ed esuberante (in occasione della tematica trattata come ospiti della serata erano presenti Elena Grosso dell’AIPD (Associazione italiana persone down), e Tania Parente della ONLUS “Don Lorenzo Milani”), che si trova ad affrontare la rottura improvvisa del suo equilibrio familiare. Alla scomparsa della madre, il padre sprofonda nella depressione, Dafne, dunque, non solo deve confrontarsi con una perdita, ma deve anche sostenere il genitore prima che la malattia prenda il sopravvento. Trattare, in un film come in un romanzo o in qualunque altro modo, l’elaborazione di un lutto è un compito complesso. Si rischia spesso di realizzare un prodotto che ostenti il pianto, “Dafne”, invece, è ben lontana da essere un’opera di pietà. Federico Bondi ha già analizzato in maniera differente la difficile convivenza con quello che viene comunemente definito “diverso” in “Mar Nero”, suo film d’esordio, opera semplice e straordinariamente intensa e sincera. Con “Dafne” ha realizzato una pellicola impegnata e che necessita di impegno per essere compresa a fondo. L’intento del regista, infatti, non è stato quello di creare un film sulla sindrome Down, quanto piuttosto quello di raccontare un rapporto umano con i suoi limiti (prima di portarlo sullo schermo ha attinto dalla vita quotidiana). Il film non vuole negare le difficoltà di Dafne, né nasconderle, anzi; tende, invece, a normalizzarle. Bondi ha avuto l’abilità di intuire che Carolina (la Dafne del film) non andava guidata ma accompagnata: bisognava, per questo, fare in modo che reagisse nella maniera più spontanea possibile e non recitasse. Carolina non doveva avere, dunque, una visione chiara né doveva imparare le battute a memoria: è stata ricercata autenticità e verità. Il regista ha utilizzato vari stratagemmi per creare un’opera in cui il pubblico potesse poi immedesimarsi e lavorare con le proprie emozioni: ha cercato oggetti che potessero incuriosirla e emozionarla, a seconda dell’effetto voluto; ha studiato le condizioni che potessero farla reagire senza legarsi “scolasticamente” ad un copione. Nel realizzare le scene, infatti, non è stato seguito l’ordine cronologico della storia. Non si sa, quindi, dove finisce Carolina e dove inizia Dafne.“Dafne” è un film che infonde coraggio ma che necessita anche di altrettanto coraggio per essere compreso. Per chi ha subito una perdita, infatti, è una grande prova: riuscire ad emozionarsi senza sprofondare nella tristezza. Lo spettatore, dopo la visione del film, è portato a domandarsi se è Dafne a sostenere il padre o il padre a sostenere lei: è questo il fulcro del film. Per elaborare un dolore è lecito aggrapparsi a qualcuno, ma al tempo stesso, bisogna evitare che la propria sofferenza possa compromettere la rinascita o la ripresa dell’altro. Bisogna restare ancorati agli affetti, al lavoro (“Il lavoro è sacro”, dice Dafne in una scena del film), bisogna avere cura dei ricordi per evitare che svaniscano o diventino solo motivo di angoscia. Si può imparare, attraverso la visione di questa pellicola, a lasciarsi andare, a liberare le proprie emozioni (se serve, è giusto anche piangere): ci si potrà poi sentire più leggeri e più sereni. Bondi ha saputo trattare temi così complessi in modo diverso e più efficace, la sua pellicola è un grande richiamo alla vita. “Dafne” è una “dramedy” (commedia drammatica) tutta da scoprire e da guardare con occhi sinceri e genuini.
Impossibile non citare l’interpretazione di Antonio Piovanelli (nel film è il padre di Dafne), che con tutta l’autorevolezza della sua esperienza (ha alle sue spalle collaborazioni con Bertolucci e Bellocchio) ha dato maggiore intensità persino agli sguardi e ai silenzi.