di Andrea Zippa
Un interessante incontro si è tenuto nel pomeriggio del 23 maggio 2019 nella splendida cornice di Palazzo San Carlo, uno degli edifici storici di Santa Maria Capua Vetere: protagonista l’artista tedesca ma casertana d’adozione Ursula Pannwitz, scomparsa pochi anni or sono ma rievocata e resa imperitura dalle suggestioni della giornalista e scrittrice Lidia Luberto, autrice de “La Casa delle Bifore” (libro edito da Guida Editore) in cui si ricostruisce la particolare storia di questa donna. L’incontro, coordinato da Daniela Borrelli e arricchito dalla lettura di stralci del testo ad opera di Piera de Cesare, ha visto la partecipazione anche della figlia di Ursula Pannwitz che, con la sua testimonianza, ha contribuito a rendere ancor più suggestivo il tutto. Padrone di casa è stato il presidente dell’associazione “Gli Amici di Palazzo San Carlo” Gennaro Stroppolatini che ha accolto i partecipanti nell’antica abitazione, tracciandone la storia.
Palazzo San Carlo è uno degli edifici storici più rappresentativi di Santa Maria Capua Vetere, purtroppo poco noto al grande pubblico: nato nel ‘800 e situato a ridosso del Corso Garibaldi, l’edificio è il primo in Italia dedicato al Teatro San Carlo di Napoli. Fino al 2007 versava purtroppo in condizioni fortemente degradate, abitato anche da abusivi; acquistata in tale data da Gennaro Stroppolatini e totalmente restaurata e riqualificata, la struttura, inserita anche nei circuiti FAI e TCI e riconosciuta come dimora storica, da alcuni anni ospita l’associazione “Gli Amici di Palazzo San Carlo” con obbiettivi di promozione culturale, musicale e artistica con particolare riguardo verso il Teatro San Carlo. Proprio in virtù dell’impegno di promuovere nel casertano la cultura, si è scelto di ospitare la dottoressa Luberto per presentare la suggestiva personalità di Ursula Pannwitz.
Si tratta di una figura strettamente connessa al territorio di Casertavecchia e grande portatrice di cultura nelle aree del casertano, convinta sostenitrice del rilancio di un territorio affascinante e magico (non a caso fu una delle maggiori promotrici del “Settembre al Borgo”) ma purtroppo chiuso nelle sue problematiche e, all’epoca del suo arrivo qui, bloccato in una mentalità arretrata. Nata in Germania, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili trascorse durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e del secondo dopoguerra, Ursula, negli anni ’70, decide di lasciarsi alle spalle tutta la vita precedente e di trasferirsi nel borgo di Casertavecchia di cui si era innamorata durante una visita.
Ecco, Casertavecchia, borgo di rara bellezza che permette al visitatore di assaporare ancora le fragranze e gli aromi tipicamente medievali nelle sue stradine di tufo grigio, nei suoi saliscendi, negli sprazzi di luce visibili qui e lì all’improvviso dalle strette viuzze, nell’aria che qui si repira e che ha il sapore dei tempi che furono, nella magia che trasuda dalle pietre antiche del selciato. Da tutto questo Ursula rimase colpita e, in particolar modo, da una casetta con due finestrelle a bifora, una chiesetta sconsacrata del 1100 circa che versava in pessimo stato di conservazione. L’artista decise, allora, di acquistarla e, con grande forza d’animo e caparbietà, di ricostruirla da zero, pietra su pietra, con le sue stesse forze; dopo innumerevoli problematiche di varia natura (tra cui un incendio che distrusse molto del lavoro fatto e la costrinse a ripartire da zero), la donna riuscì alla fine a coronare il suo sogno e a trasformare quel rudere in un luogo magico, noto, in virtù della sua particolare facciata, come “Casa delle Bifore”. La magia dell’abitazione e della sua proprietaria si nota già nel suggestivo cartello “Chiuso per Tramonto” che la Pannwitz esponeva all’esterno della sua bottega quando, colpita dai colori cangianti di un tramonto, decideva di andare ad assistervi in prima fila, dalla terrazza della sua casa, da cui si gode di una vista amplissima che abbracciava l’intera Campania Felix.
Tra racconti e ricordi di vario genere Lidia Luberto è riuscita a ricostruire la personalità complessa e affascinante di una donna di rara sensibilità, in grado di affascinare chiunque la incontrasse: colpita dalla giornalista, Ursula ha deciso di affidarle il racconto della sua vita, i ricordi che lentamente cominciavano a scomparire perché perdere la propria memoria significa perdere anche se stessi; di fronte ai vuoti e al nero che incombe sulla propria mente, infatti, si staglia la scrittura che è in grado di eternare questa vita. Ed è uno scambio di anime, quello che avviene tra Lidia e Ursula, un riscoprire e ritrovare un po’ di sé nella vita dell’altra, nelle sue esperienze, nelle sue reminiscenze: in tal senso, significativo è il racconto del primo incontro avvenuto tra Ursula e la giornalista che, recatasi a Casertavecchia per un servizio, è attratta dalle note di un valzer proveniente da una stradina e si ritrova nel laboratorio dell’artista che si presenta e la invita a ballare perché “la musica è armonia. Come il ballo che è un altro modo di interpretare l’armonia”.
Sul tavolo, davanti alle relatrici, viene collocata una cornice con una vecchia fotografia in bianco e nero di Giulietta Masina; accanto al ritratto si trova, poi, uno dei celebri Spiritelli di terracotta, questo realizzato, tuttavia, da un’allieva di Ursula, dal momento che quelli originali non sono più trovabili: che legame c’è tra questi due oggetti? È presto spiegato: affascinata dai recipienti panciuti in argilla che servivano come zuccheriere, l’artista cominciò a dipingerli con delle facce buffe e colorate; un giorno, Giulietta Masina, appassionata di mistero e paranormale, andò a far visita ad Ursula e vedendo tutt’intorno queste faccine colorate disse all’artista che loro erano circondate, in quell’abitazione, da presenze positive e portatrici di buona sorte; così, indicando i recipienti, affermò che questi erano spiritelli benevoli: è da allora che nacquero gli Spiritelli Portafortuna, divenuti uno dei simboli di Casertavecchia. Leggenda vuole che, per far esaudire un desiderio, bisogna inserire all’interno del recipiente un biglietto con su scritto ciò che si vuole far avverare: basandosi sulla massima eduardiana “non è vero ma ci credo”, sono state ricordate diverse testimonianze di persone che hanno visto i propri auspici realizzarsi.
Altro incontro degno di nota è quello tra la Pannwitz e Dario Fo: lo scrittore, premio Nobel per la letteratura, trovandosi a Caserta, volle visitare Casertavecchia; Lidia Luberto, guida di Fo per le strade del borgo, aveva chiesto a Ursula se potesse portarlo a visitare la sua casa e il suo laboratorio e la donna, sebbene inizialmente restia, alla fine acconsentì ad accoglierlo. All’arrivo nella bottega, lo scrittore rimase colpito e chiese un pezzo di tessuto bianco alla padrona di casa; ricevuto un fazzoletto di stoffa, sedutosi con una tavolozza, cominciò a dipingere fino a realizzare l’immagine di una coppia che si abbraccia. L’incontro tra queste due anime elette fu particolarmente toccante per la giornalista ma anche per la stessa Ursula che ringraziò la Luberto per averla spinta ad accettare di conoscere Fo.
Resta l’amarezza per il fatto che Ursula non abbia mai potuto vedere il libro completato; ma il sorriso di Elena, figlia della Pannwitz, rassicura che dall’alto Ursula è contenta perché è quello che la madre avrebbe sempre voluto: far sì che la sua vita potesse essere ricordata dai posteri come una fiaba; ed è quanto Lidia Luberto è riuscita a fare, eternando un personaggio, purtroppo ancora non molto noto, come è Ursula Pannwitz, che meriterebbe di essere riscoperto ancor di più, in virtù della grande valorizzazione culturale e non solo che ha portato al nostro territorio.