Il cinema di Marc Forster materializza i sogni, li rende tangibili, al punto da confondere la realtà con l’immaginazione. Il regista di “Neverland – Un sogno per la vita” ( il film ottenne sette nomination agli Oscar nel 2005 ma ne vinse solo una per la migliore colonna sonora) e “Il cacciatore di aquiloni” (tratto dall’omonimo romanzo di Khaled Hosseini), in “Stay – Il labirinto della mente”, si cimenta in un progetto ambizioso realizzando un’opera in cui la storia procede a ritroso, trascinando così lo spettatore in un vortice che si conclude e chiarisce soltanto nel finale.
Sam Foster è uno psichiatra che ha appena sostituto la sua collega nella cura di Henry, un ragazzo affetto da una grave forma di depressione con tendenze suicide. Sam cerca in ogni modo di far desistere il giovane appena ventenne, ma man mano la storia di Henry lo assorbe al tal punto se sentirsene parte: il mescolarsi delle loro vite creerà un mistero intricatissimo ed originale, studiato per non essere compreso fino in fondo.Lo spettatore avverte sin dall’inizio la sensazione di essere manipolato, i confini tra la realtà e l’immaginazione non riescono ad essere definiti. Le storie incrociate e la perdita delle identità poi, rendono irriconoscibile il reale dalle proiezioni della mente; dunque, non si è mai davvero certi di stare percorrendo la strada “giusta” o quella “sognata”, essendo offuscati dall’intreccio degli eventi. Di thriller psicologici ne sono stati realizzati molti, e alcuni di questi hanno sfruttato lo stratagemma della perdita di identità o dell’astrazione per infittire il mistero e creare maggiore tensione. Ne sono un esempio “Fight Club”, “Donnie Drako”, “Psyco”, “Rosemary’s Baby”, “Il cigno nero”. Un elenco che può proseguire ancora e che presenta una serie di opere differenti e indubbiamente efficaci realizzate da maestri del cinema del calibro di Hitchcock, Polański, Aronofsky. La particolarità di “Stay – Il labirinto della mente” consiste nel fatto di rifiutare gli espedienti facili e le soluzioni narrative già conosciute. Il regista sceglie una prospettiva differente, realizzando un film che prende vita nelle immagini che si rincorrono a vicenda, creando quel senso di vertigine che annebbia la mente e distorce il significato delle cose. La pellicola guadagna poi maggiore profondità nel finale con una svolta inaspettata e che resta inevitabilmente impressa. Il prodotto di Forster riesce dunque a coinvolgere seguendo meccanismi insoliti, uscendo dai binari classici. Ogni logica razionale viene sovvertita, e l’empatia dello spettatore cresce quando si scopre che lo spazio tra la vita e la morte è più breve di quello che si crede. Al pubblico spetta la decisione: resistere, e cercare di collocare gli eventi in una successione logica; oppure cedere, e abbandonarsi al fluire delle cose. Lasciare, dunque, che alcuni dettagli restino irrisolti e confusi può diventare un’occasione per lasciarsi trasportare dalla vicenda, rinunciando a definire l’ordine razionale delle cose. “Stay – Nel labirinto della mente” è un film che può avere più di una lettura, ma che può contare senza dubbio su un finale sorprendente, che costringe lo spettatore a ripensare a tutto ciò che ha visto.
Mariantonietta Losanno