UN ANNO DOPO, NUOVO TESTO DI TONY LAUDADIO IN SALA ASSOLI

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Un anno dopo 300x188 UN ANNO DOPO, NUOVO TESTO DI TONY LAUDADIO IN SALA ASSOLINAPOLI – L’ultimo appuntamento della rassegna “Fuori controllo” è con una regia di Andrea Renzi, per un testo di Tony Laudadio interpretato da Arturo Scognamiglio ed Ettore Nigro: “Un anno dopo”, in scena in Sala Assoli mercoledì 10 e giovedì 11 aprile alle 20.30. “Una grigia storia impiegatizia ci viene raccontata attraverso trenta brevi scene quotidiane, distanziate l’una dall’altra da un anno di tempo – si legge nelle note di regia di inizio lavoro. – L’arco della relazione umana e lavorativa, al tempo stesso ordinaria e segreta, tra i due colleghi, ricopre trent’anni di vita. Approssimativamente 260.640 ore racchiuse in poco più di un’ora di rappresentazione. La sfida teatrale e il paradosso contenuto in questa contrazione temporale vive di un respiro drammaturgico molto stimolante per la regia e per gli attori. Da un lato la scrittura si concentra in dialoghi che riassumono i passaggi salienti – talvolta colti o più spesso mancati di due esistenze di provincia – dall’altro si apre, nel cambiamento da una scena all’altra, da un anno all’altro, ad una visione dall’alto del tempo che trascorre e ci sfugge, che ci contiene e ci determina. L’iperrealismo dei dialoghi e l’irrappresentabilità delle transizioni è ciò che incuriosisce la nostra indagine e che porta ad utilizzare nella sua completezza il linguaggio teatrale nelle sue valenze di esplorazione minuziosa dei personaggi e nel suo metaforico offrirsi come specchio per una visione prospettica e d’insieme delle nostre vite”. “Ho scritto ‘Un anno dopo’ nel 2013, seguendo la linea di lavoro che perseguo da sempre, anche nei miei romanzi: dare vita, corpo e parola, alle mie inquietudini più profonde, difendendomi con l’arma della leggerezza – afferma Laudadio. – Alla base di questo testo c’è un’idea semplice e folle: raccontare trent’anni di vita, anzi di due vite, in un’ora. E volevo raccontarle non come quelle sintesi biografiche che si trovano ad esempio nelle voci dell’enciclopedia – nato a, morto il – no, io volevo che queste vite fossero seguite passo passo, dagli spettatori, momento dopo momento, emozione dopo emozione, in una quotidianità che facesse percepire quasi fisicamente il trascorrere del tempo. Il giovane impiegato che finalmente trova un posto di lavoro, il primo innamoramento e il conseguente primo divorzio, lo svelamento dei primi segreti, le confidenze, i tradimenti, la nascita di un figlio e così in avanti, anno dopo anno: ogni evento, ogni episodio, doveva diventare motivo di dialogo, punto di vicinanza, di incontro, di questi due grigi impiegatucci, primi attori inconsapevoli, con la grazia irresistibile della loro totale inadeguatezza alla vita e la sensazione paradossale che persino nel racconto della loro stessa esistenza sarebbero personaggi non-protagonisti. Sì, volevo che, per assurdo, neanche nella loro stessa biografia avrebbero avuto un ruolo centrale. Tutto questo ha significato affidare agli attori un compito arduo, quasi impossibile, e cioè rappresentare il passare degli anni, cercando di mimare la più difficile delle caratteristiche del tempo: la sua gradualità. Ho prestato al mio testo, nell’allestimento originale, anche la mia prova d’attore e ho potuto capirne, più di quanto immaginassi nello scriverlo, la difficoltà. Ora, a distanza di cinque anni, con mia grande gioia, questo testo viene riportato in scena, ma stavolta senza di me, senza la mia presenza, da due attori – più giovani – che forse ancora non si rendono conto del vespaio in cui si vanno a cacciare. Ed è un passaggio che mi incuriosisce e mi turba. Vedere qualcun altro alle prese con le mie personali e profonde inquietudini mi provoca una lieve sensazione di spersonalizzazione, di dissociazione. Pure questo evento mi emoziona e mi diverte. Sarebbe uno di quei momenti da inserire nel racconto a capitoli della mia vita, se mai ce ne fosse uno”.