di Calpurnia
La Notte racconta
Il Buio ascolta
La Luce purifica
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La strada sembrava allungarsi e quel filare di pioppi che vegliava sull’ultimo tratto, improvvisamente parve raddoppiarsi, moltiplicarsi…Vittorio continuava fingeva con se stesso…ormai lo faceva da mesi… e fingeva persino nell’immaginazione…fingeva di fingere…Accavallava pensieri e sospiri… e sospirò ancora…poi decise di far finta di decidere che quella non sarebbe stata la serata adatta, per fare domande a Dalia…finse di riflettere sulla opportunità di essere sereno e finse finanche… quando decise che forse…sereno non lo era abbastanza…non lo era ancora. Fingeva senza chiedersi la ragione del suo bisogno di fingere…L’istinto di conservazione è qualcosa di sacro, di salvifico, che emerge nelle sue stranissime e diverse espressioni…Un altro trillo improvviso lo scosse da quel pericoloso dormiveglia della ragione…decise di fermarsi…aveva bisogno di respirare a fondo…di chiudere gli occhi per un momento…di ritrovarsi… e si fermò…Prima di guardare il display del cellulare, guardò oltre il finestrino e cercò disperatamente di fermare la fuga immaginaria degli alberi….si toccò la fronte…era sudata…poi guardò il cellulare e lo prese per leggere il messaggio …era Dalia … “Sono in classe…i ragazzi sono da mia madre, questa sera restano là. Io devo parlarti, aspettami… alle 18 sarò casa. Ciao.” Vittorio chiuse gli occhi…poi li aprì e guardò davanti a sé, oltre il vetro…la corsa degli alberi era finita…le foglie erano immobili…anche il vento era scomparso… Chiuse di nuovo gli occhi e si chiese perché non fosse possibile tornare indietro…capovolgersi all’improvviso…tentò di fermare i pensieri, raccogliendoli ad uno ad uno…chinò la testa e capì che era venuto il momento di abbracciarsi, di restituirsi la libertà di piangere. La sua casa era laggiù, appena dopo l’angolo, si intravedeva il cartello azzurro e bianco sulla curva, che invitava a rallentare…non c’era posto né spazio, per l’ultima finzione e lui ne approfittò…approfittò della breve solitudine dell’abitacolo, dell’assenza di traffico, del silenzio…approfittò di sé e del suo coraggio, strinse gli occhi ed urlò… sbattendo il pugno sul volante, raddrizzandosi e mordendosi il pugno chiuso e poi passandosi le mani sulla faccia e sui capelli…trascinandosi le lacrime dure come il piombo, sulla faccia e sul collo… Sapeva che nella sua casa non avrebbe trovato nessuno, che avrebbe potuto correre attraverso le stanze….non c’era neppure il suo gatto ….era andato via da casa per inseguire una gattina e forse si era perso…chissà…avrebbe potuto dare sfogo a quella smania di dentro che lo divorava…a quella sua paura per qualcosa che non conosceva…che non si era compiuto o che era già finito…Avrebbe potuto gridare la sua disperazione e anche la sua debolezza ed avere come unico testimone… il silenzio… Ma lui voleva consumare lì, in quell’abitacolo che sembrava l’anfratto di un vecchio muro, tutta la disperazione possibile per un disagio sconosciuto…per un male estraneo, per un giorno che non voleva tramontare ed indugiava con la sua luce feroce a fare da riflesso spietato ai pensieri… Voleva essere pronto, quando avesse varcato la soglia della sua casa…pronto a resistere …pronto per un racconto di guerra…o per un’agonia annunciata dai silenzi, dalle pause…dal cuore…Si raddrizzò, rimise in moto l’auto ed accelerò…Poco dopo arrivò davanti al cancello della sua casa…azionò il telecomando, il cancello si aprì e lui entrò. Parcheggiò e scese dall’auto…fece di corsa i tre gradini, improvvisamente desideroso di essere nella sua casa, di chiudersi la porta alle spalle…aprì in fretta e lasciando andare la porta che si chiuse con un tonfo, raggiunse il divano nella sala dopo l’ingresso e ci si buttò sopra…la maniglia della borsa con i compiti dei suoi studenti, era ancora appesa alla sua mano… La tensione aveva avuto la forza di un uragano che si stava placando….e Vittorio si addormentò… “Vittorio…Vittorio…ma come?…dai tirati su…non ti sei tolto neppure la giacca…guarda qui…” La voce di Dalia lo svegliò….quanto tempo era passato?, gli sembrò impossibile aver dormito per ore…ore…gli sembrava di essersi appena sdraiato…solo un momento per pensare e riflettere… Si strofinò gli occhi e guardò sua moglie in piedi…davanti a lui nella penombra…i contorni sfocati da quella lama di sole che entrava dalla fessura della persiana. Aveva un vestito bianco e blu e tante collane colorate come quella volta che erano andati a Trieste a trovare sua sorella e lei si era fatta le mèches…e non erano venute bene, diceva lei…ma a lui sembravano perfette, come lei…ed anche adesso… lei era bellissima… Si alzò dal divano e si mise seduto, mentre Dalia si allontanava verso la cucina…sentì lo sportello del mobile che si apriva, un rumore di tazze… “Vuoi il caffè per caso?” Lui voleva rispondere: “No e non lo prendere neppure tu…ne prendi troppi… sai che ti fanno male…il caffè è soltanto una scusa, per fumare un’altra sigaretta..” Invece gridò quasi: “Si…grazie…prendo volentieri un caffé e mi fumo anche una sigaretta…” Si sdraiò un’altra volta e per una frazione di secondo fu felice…poi tornò nella sua pelle, nella sua vita, nel suo presente. Si alzò, si tolse la giacca…si aggiustò i capelli e la guardò mentre veniva verso di lui con la tazzina di caffè in mano… “Siediti Vittorio – gli diceva Dalia da lontano…lontano… – devo parlarti…devo parlarti adesso… “ Vittorio si sedette un’altra volta sul divano….bevve il caffè, posò la tazzina sul tavolo davanti a sé e appoggiando i gomiti sulle ginocchia la guardò e le chiese piano: “Cosa è successo….cosa devi dirmi Dalia?…” Dalia si sedette nella poltrona di lato al divano…e lui dovette girare la testa per guardarla negli occhi… “Vittorio….cominciò stringendosi le mani in grembo…io….voglio separarmi…” Poi si alzò…fece due passi e si girò…
“Per favore…Vittorio…cerca di capire…io non ce la faccio a continuare a fingere …il nostro matrimonio…il nostro matrimonio…”
“E’ finito?…- gridò quasi Vittorio – è questo che vuoi dire?…E finito?, e dillo allora… non fermarti…non tentennare…vai fino in fondo…”
L’uragano stava tornando ed aggrediva con violenza spietata la volontà di comprendere, di ascoltare….
Dalia era terrea…tremava quasi…faticava per non scoppiare a piangere…
“Ascoltami Vittorio…- ansimò – per favore calmati e stammi a sentire…fammi parlare…se fai così non posso spiegarti…”
“Parla- sospirò Vittorio- ti ascolto…”
In quel momento il trillo dei messaggi arrivò dal cellulare di Vittorio. L’uomo si avvicinò al divano e lo prese…Guardò il display…Era il numero di prima…il numero di Sandro Deledda…di nuovo lui…no…non ora…ora non voleva leggere… Chiuse il cellulare e guardò sua moglie…
“Dimmi…”