di Giovanna Longobardi
CASAGIOVE – “Sono convinto che l’uomo non crei niente, ma elabora quello che già c’è. In fondo basta riflettere sull’origine della parola stessa arte, che nella sua estensione ritorna anche come artificio, ossia una manipolazione dell’esistenza”. Si parte da qui, da questo principio cardine per conoscere l’opera di Decio Carelli, l’artista di Carinaro, nella provincia casertana, che ha lasciato entrare la passione spasmodica per il colore e la tecnica nella sua vita sin dall’infanzia. Lo incontro durante “Papier Collè”, l’ultima mostra personale – visitabile fino al prossimo 30 giugno – presso gli spazi espositivi del Quartiere Militare Borbonico di Casagiove, un’occasione vissuta come esperienza primordiale per conoscere l’impulso creativo dell’artista . La nostra chiacchierata con Decio Carelli da subito si rivela travolgente e dinamica, proprio come un riflesso della sua personalità, e con pause cadenzate ci racconta di sé e della sua duplice matrice artistica. Decio Carelli è, infatti, sia un noto pittore che un restauratore, e sommessamente, anche un po’ incuriosita, gli chiedo se ha avvertito mai una sorta prevaricazione di uno due mondi sull’altro.
“Sono per me due tratti imprescindibili della mia esistenza – precisa Carelli – vissuti come un tutt’uno del mio essere. Dal 1982 sono presente nei laboratori di restauro della Soprintendenza all’interno della Reggia di Caserta e negli anni ho operato su tele, arredi, materiali lapidei, pitture murali e sculture lignee policrome, e nel contatto con la creatività del passato sono sfociato su orizzonti più lontani, quelli in cui la forma e lo spazio, al di là di uno specifico linguaggio artistico, sembrano essere reminiscenze”. Decio Carelli entra in collisione con la categoria temporale e ci invita a soffermarci su un pensiero, il suo, spesso ricorrente nelle sue opere. Da visitatori un po’ speciali, ci lasciamo contagiare dalla sua accoglienza e accettiamo il suo invito a guardare la collezione in esposizione. All’incirca 28 opere ammantate da toni caldi e sfumature addolcite, come in ‘Paesaggio’, ‘Barca a vela’ o ‘Pergamena’. Un’analisi dell’opera d’arte si rende così necessaria per intuire cosa significa per Decio Carelli quel momento di rivelazione e di nascita dell’oggetto artistico, che rientra nella denominazione “papier collé” e che istantaneamente ci rimanda ad una radice estetica cubista, ma che si traduce, senza badare al linguaggio artistico di riferimento, come un codice secondo cui l’arte è espressione estetica della nostra interiorità e dell’animo umano.
Fa suo il principio secondo cui noi assorbiamo dal passato quello che già c’è: “Noi non ci determiniamo, le nostre scelte sono effetti illusori, siamo condizionati dagli eventi, dalla società e da dove viviamo”. Nelle parole dell’artista Decio Carelli si avverte l’influenza del pensiero filosofico di San Tommaso D’Aquino, al centro dei suo interessi pittorici, che a proposito della verità e attraverso un processo di adaequatio intellectus ad rem, sanciva che la conoscenza deriva da un adeguamento dell’anima o dell’intelletto alla cosa. Un meccanismo legato ad una visione empirica e pragmatica spiegata facilmente così: “Se vedo l’oggetto che conosco il mio intelletto mi suggerisce l’uso, ma se invece io non conosco l’oggetto è quest’ultimo che influisce sul mio intelletto”.
Ritorniamo a guardare i suoi papier collè e notiamo segni alfanumerici e simboli all’interno delle sue opere. Opere speciali che ci consentono di captare quella fusione tra l’anima del restauratore e del pittore. Decio Carelli, infatti, ha lasciato che il passato rivivesse nella sua produzione artistica, tanto da recuperare delle copertine, il più delle volte delle semplici cartelline in pelle, risalenti ad un periodo tra fine Seicento e Ottocento. Si tratta di materiale scartato durante le fasi di restauro che lui ha raccolto e sapientemente rimpiegato delegando allo spettatore una nuova interpretazione dell’oggetto, che da uso comune, ritorna sotto una diversa dimensione ad assumere significati molteplici.
“Non si sa nulla di queste cartelline o copertine di fascicoli, nè su quello che contenessero, tutto è avvolto in un alone di mistero, e qualche indizio lo si ricava solo dai numeri di collocazione che non ho voluto cancellare. Ma c’è di più. Queste pelli sono il resto di una vita animale, di una tradizione, e il simbolo del segno di un’esistenza”. Ci lascia approdare verso il concetto di ‘tauromachia’ e ci fa presagire come sia capace di illustrare nell’eterna lotta una sorta di allegoria della vicenda umana.
Il papier collé delle pergamene di Decio Carelli non è quindi da considerarsi solo un’esecuzione tecnica, bensì una nuova prassi compositiva e narrativa, in cui l’immagine è composta di frammenti tratti dalla realtà, già dotati di senso e rielaborati con spirito evocativo. Al vernissage della sua personale, inaugurata dall’assessore Pietro Nardi e dal consigliere Gennaro Caiazza, ci sorprende con la performance di action painting – Acqua Sacra – che replicherà sabato 30 giugno alle ore 19.30 in occasione della chiusura. Si tratta di una performance pittorico-teatrale denominata “Moto Ondoso” accompagnata dal reading di poesie di Valeria Giunta e dai passi in danza di Rossella Carelli. In una visione materica il moto ondoso genera flussi e spostamenti; il pensiero richiama l’acqua e l’idea che si possano spostare masse, cose o uomini… come i migranti. Ma il moto ondoso è anche un volo dell’anima, una sete di sapere e di circumnavigare le terre sommerse della propria conoscenza, per dirigersi verso mete inesplorate e verità fatte di diversità ancora da scandagliare.
“Io – conclude Carelli – sono il risultato di tutte le visioni che ho. Non ho la pretesa di creare, che per me è un atto divino, ma solo di essere un manipolatore”.