Il 21, 22 e 23 maggio è stato riproposto nelle sale in versione interamente restaurata in 4K a cura della Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia, “Ultimo tango a Parigi”, a 46 anni di distanza dalla sua realizzazione. È considerato una delle opere che ha dato maggiore notorietà al regista parmigiano, ma è anche un film discusso che ha creato scandalo, al punto che venne sequestrato e successivamente iniziò un iter giudiziario che portò a una sentenza di assoluzione di primo grado, in seguito alla quale fu poi ridistribuito nelle sale italiane e internazionali. Una sorta di film maledetto, insomma. I motivi di queste gravi conseguenze legali che la pellicola ricevette riguardano i contenuti eccessivamente spinti, che per quei tempi (siamo agli inizi degli anni settanta) erano assolutamente indecenti e inammissibili. Nonostante il fatto che si dicesse fosse un oltraggio al pudore pubblico, il film ottenne un record di incassi di più di quindici milioni di spettatori.
“Esasperato pansessualismo fino a se stesso”: è quello che si legge nella sentenza della Cassazione, ma oggi naturalmente le reazioni sono nettamente differenti. Innanzitutto, senza cadere in moralismi o discorsi troppo ampi e complessi, bisogna riconoscere che il senso del pudore non abbia più alcun limite oggi. Quello che Bertolucci ha realizzato è stato un azzardo, ma si trattava e si tratta pur sempre di arte, c’è chi può ritenere che sia troppo audace o eccessivo, ma resta un capolavoro indiscusso. Il discorso in riferimento ad oggi è differente, perché non esistono più censure o freni inibitori: non c’è controllo o moderazione, soprattutto perché siamo in un’epoca in cui ci sono modi per esprimersi più diretti e rivolti a tutti, il che tante volte diventa una questione difficile da gestire. Al di là dei contenuti erotici, “Ultimo tango a Parigi” è un’opera sulla drammaticità dell’esistenza, che racconta il dolore, la solitudine e la disperazione.
Paul (Marlon Brando) e Jeanne (Maria Schneider) si ritrovano entrambi in un appartamento da affittare, che si trasforma di lì a poco nel loro rifugio d’amore. Sono due sconosciuti e hanno intenzione di restare tali, non comunicando i loro nomi, i loro dati anagrafici, o qualunque altro aspetto della loro vita privata. Si amano con irruenza e con veemenza, in modo totalmente appassionato. Questo rapporto ambiguo diventa qualcosa di più ossessivo e pericoloso, assumendo dei toni decisamente tragici. Marlon Brando è la vera star del film, è invecchiato ma affascinante, è selvaggio, anticonformista e ribelle. Bertolucci ha un modo di esprimersi molto complesso: è allusivo, ammiccante e provocatorio, ma ha a anche l’abilità di riuscire a fare avvertire il vuoto, l’oscurità, il silenzio. Jeanne e Paul sono alla ricerca di emozioni forti in un spazio claustrofobico e asfissiante: qui si può comprendere il doppio intento di Bertolucci, che se da un lato ha voluto focalizzare l’attenzione sull’erotismo e la passione, ha anche saputo analizzare l’emotività, i sentimenti e gli stati d’animo più intimi.
Gli anni passano, le usanze cambiano, ma certi scandali in parte restano ancora. Se vengono analizzati e compresi da un’altra prospettiva però, assumono un’altra importanza. La sentenza del 1987 che riabilitò la pellicola recita infatti così: “Amore e morte, sesso e distruzione, piacere e crisi sono i temi che fanno di “Ultimo tango a Parigi” un film con piena dignità di opera d’arte, soprattutto per il modo in cui questi motivi profondi vengono affrontati”.
Bertolucci è un rivoluzionario che ha realizzato un’opera che conserva ancora oggi la sua forza espressiva e la sua intensità. Il valore di “Ultimo tango a Parigi” sta nella svolta innovativa e radicale, e nella sua rottura degli schemi del cinema italiano nel clima culturale degli anni settanta.
Mariantonietta Losanno