Colori brillanti, contrasti cromatici, precisione a dir poco geometrica: lo stile di Wes Anderson è assolutamente unico e inconfondibile. Potremmo definire il suo modo di fare cinema una realtà a sé, in cui difficilmente si riscontrano riferimenti ad altri generi, o ad altri registi. Il mondo di Wes Anderson è costruito minuziosamente, ogni dettaglio ha la sua valenza, i piani sequenza costringono gli attori ad agire in perfetta sincronia, come in una sorta di danza.
Ogni scena di Wes Anderson è un quadro. La disposizione degli oggetti, e dei personaggi non è mai lasciata al caso, tutto è meticolosamente curato. Anderson, inoltre, crea una sfera psicologica nella quale far rientrare i suoi protagonisti: ognuno ha una propria e specifica caratteristica, un vezzo esteriore, un modo di parlare, di vestire, e ognuno ha la propria passione, il teatro, la poesia, lo sport.
Le colonne sonore, poi, concorrono a creare una realtà distensiva in cui lo spettatore si immerge e si abbandona totalmente. La musica è delicata, sempre inerente al contesto, mai fuorviante.
Le pellicole di Wes Anderson raccontano storie complesse, apparentemente frammentate, eppure l’equilibrio non viene mai disturbato. Alla complessità della sinossi Anderson associa un’ironia geniale e sempre funzionale a mantenere intatta la sensazione idilliaca e leggera che le immagini infondono. I colori e le loro combinazioni svolgono un ruolo fondamentale nel nostro inconscio, la percezione di un stato d’animo può essere accentuata, o attutita, smorzata. Il coinvolgimento del pubblico, quindi, è assicurato sia grazie alle trame particolari, che alla creatività delle scelte cromatiche. L’estetica e lo stile di Wes Anderson sono assolutamente fuori dal comune, è come se un pittore dipingesse sullo schermo ogni scena.
Cinema e arte si fondono e realizzano uno spettacolo che non può lasciare impassibili.
- “Hotel Chevalier” (2007)
Un lussuoso hotel parigino, due amanti (Jason Schwartzman e Natalie Portman) che raccontano in tredici minuti una storia d’amore intensa e malinconica. Un cortometraggio (prologo del film “Il treno per il Drajeeling”) che riesce ad esprimere così tanto in così poco: una sensazione di armonia che viene turbata, il fascino, la sensualità, la desolazione, la tristezza.
Una colonna sonora che incanta, rapisce, in pochi minuti Wes Anderson stupisce e intriga.
- “Moonrise Kingdom” (2012)
Estate 1965, siamo su’isola del New England. Suzy e Sam, due ragazzini di dodici anni, stringono un patto segreto e organizzano una fuga. L’intera comunità dell’isola è in subbuglio, tutti sono sulle tracce dei fuggitivi.
Simmetrie perfette, colori e dettagli degli anni sessanta filtrati dal gusto bizzarro di Anderson, ma c’è di più. “Moonrise Kingdom” è una commedia stralunata e ironica che nasconde (ma non troppo) una componente drammatica, commovente e emozionale. Un micro mondo pieno di problemi: la famiglia di Suzy che la fa sentire costantemente diversa e emarginata, la solitudine di Sam che invece è orfano e rischia di essere mandato in un orfanotrofio lontano dall’unica persona con cui riesce a sentirsi a suo agio. Anderson racconta una storia d’amore delicata, tenera, ma anche attuale, dove emergono i disagi di tanti adolescenti. Il principio della conoscenza tramite missive ingenue e appassionate, poi gli sguardi, l’imbarazzo, la complicità e infine la fuga verso un luogo distante (a cui possono attribuire il nome che preferiscono e che sarà proprio “Moonrise Kingdom), dove possono costruirsi una vita insieme.
Il mondo di Wes Anderson è magico, riusciamo a guardare le cose con un altro punto di vista, più accurato e attento. I due piccoli fuggitivi rappresentano la sana voglia di fuggire da un ambiente troppo oppressivo che non lascia loro la libertà di esprimersi e essere se stessi. Le loro giornate sono formate da lunghe letture, musica, tenere manifestazioni d’affetto, la loro evasione infrange la routine del mondo esterno per creare invece un’armonia unica e surreale.
La purezza di due ragazzini “disadattati” si contrappone all’indifferenza di una realtà precostituita e statica. Wes Anderson ci regala una sensazione di libertà e spensieratezza, ma sempre ragionata e attenta: c’è leggerezza ma mai superficialità.
- “I tenenbaum” (2001)
È un film ma si legge come un libro e racconta la storia di una stravagante famiglia, i Tenenbaum: tre figli, due genitori separati ma mai divorziati, a cui poi si aggiungono amici, amanti, e altri mariti. La narrazione è vivace (come nelle altre pellicole di Anderson), ma il ritratto fantasioso e sferzante di questa famiglia stralunata è funzionale a mostrare l’umanità e il dolore. I dialoghi sono acuti, sofisticati e graffianti, Anderson è geniale in ogni movimento di macchina.
Il regista statunitense esorcizza il lato infelice del quotidiano e lo mostra nella maniera creativa che lo caratterizza, senza mai smettere di calarsi nella realtà vera, tangibile.
La terza opera di Anderson realizza un mosaico di personaggi eccentrici, ma realistici allo stesso tempo. Attraverso la sua ironia atipica, il regista riesce a parlare in maniera lieve, originale e personale dei sentimenti. La pellicola vanta un cast d’eccezione: Bill Murray, i fratelli Wilson, Gwyneth Paltrow, Gene Hackman.
Anche in questo caso Anderson costruisce i suoi personaggi attribuendogli caratteristiche specifiche: il teatro, l’archeologia, il tennis.La pellicola è complessa ma semplice allo stesso tempo, perché sceglie di analizzare i personaggi per quello che sono, senza giri di parole.
Mariantonietta Losanno