Entriamo nell’universo di David Fincher, regista statunitense, classe 1962. Sembra di guardare il mondo con un occhio sconvolto, disorientato. Siamo di fronte a pellicole disturbanti e disturbate, siamo confusi, forse spaventati, ma continuiamo ad osservare, a stare attenti, a formularci domande. Chi è l’assassino? È reale quello a cui stiamo assistendo? Seguiamo pedissequamente storie che riguardano ad esempio un detective alla ricerca dell’assassino, un marito sulle tracce della moglie scomparsa, o un giovane frustrato, depresso e alienato che lotta (letteralmente) con il suo alter ego immaginario. Storie intriganti, che creano enigmi costanti e soluzioni introvabili. Un cinema inquieto, dunque. Ma anche un cinema che sa addentrarsi nei meandri della mente umana, e non ha paura di farlo. È un modo di fare cinema che spinge lo spettatore ad addentrarvi, consapevole di possibili stati d’animo d’angoscia, sconforto, dubbio.
- “Fight Club” (1999)
Iniziamo con un grande classico, un cult per eccellenza. “Fight Club”, basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, racconta la storia di un personaggio di cui non viene mai rivelato il nome (interpretato da Edward Norton), impiegato di una grande casa di produzione di autoveicoli. La sua vita procede lenta e monotona, quando poi la mancanza di sonno diventa un problema, non trovando un riscontro nei medici ai quali si rivolge, frequenta gruppi di aiuto per malati terminali. In quest’atmosfera terapeutica riesce a sfogare la sua frustrazione e inizia ad affezionarsi ad altre persone, in particolare a Marla, una donna cupa e con tendenze suicide che frequenta i gruppi per il suo stesso motivo, ossia combattere l’insonnia e lo sconforto.
La conoscenza più importante che fa però è quella con Tyler Durden (Brad Pitt), uno stravagante ed eccentrico venditore di saponette, conosciuto durante un viaggio di lavoro. Ed è grazie all’amicizia con Tyler che nascerà il Fight Club, un gruppo clandestino di lotta in cui esistono regole ferree di segretezza. Pian piano le adesioni aumentano e ci sono sempre più persone disposte a combattere per un motivo comune: la società in cui vivono. Una società in cui esistono il conformismo e il consumismo, e in cui è più importante apparire che essere.
“Fight Club” mostra senza mezzi termini il disagio che vive l’uomo moderno, oppresso da una realtà che lo fa sentire estraneo ed emarginato. L’attenzione è posta sulla rabbia che vive nell’animo di tante persone costrette a fare i conti con un ambiente che lo aliena, piuttosto di metterlo a proprio agio. L’unica difesa possibile è allora la scissione: di fronte alla paura, alla condizione di esistenza negativa, non c’è altra soluzione che separare con forza la propria identità, preservando uno pseudo nucleo “normale” e rigettando all’esterno le parti minacciose della propria persona. È proprio questo quello a cui assistiamo: una lotta fisica e psicologica con le due parti distinte e contorte della stessa persona. La scissione del protagonista è la stessa che siamo costretti a compiere talvolta anche noi stessi, quando ci troviamo condizionati a reprimere i nostri sentimenti e i nostri bisogni per seguire le convenzioni di una società asfissiante.
- “Gone girl – l’amore bugiardo” (2014)
Amy e Nick sono sposati da cinque anni. Hanno lasciato New York per la provincia, il che ha messo a dura prova il loro legame. A tutto questo si aggiunge la crisi che ha messo in ginocchio l’America e ha compromesso le loro carriere. La loro relazione, quindi, non funziona più, ma sono ancora insieme. Improvvisamente Amy scompare, e proprio quel fatidico giorno cambia per sempre le loro esistenze. Perché i vicini, i parenti e gli amici sono convinti che sia stato proprio Nick ad ucciderla.
“Gone girl” è un film in cui sono presenti diversi spunti di riflessione. Il primo che vogliamo affrontare è quello più attuale: il potere dei social media. Il film mostra in che modo un gesto isolato, un sorriso di convenienza, una frase distratta, possano essere utilizzati contro di noi. Nick non si mostra come i giornali e i telegiornali vorrebbero vederlo: non piange di fronte le telecamere, non implora il ritorno della moglie, non ha la faccia di chi non dorme o non mangia, ha un viso quasi sereno e impassibile, cinico. Il cinismo è uno degli elementi protagonisti in tutto il film. L’atteggiamento di Nick è sufficiente a creargli non sono antipatie, ma un vero e proprio odio, di cui qualcuno molto vicino a lui sta invece godendo. In un’epoca in cui i social network sono presenti in maniera così ingombrante, la critica implicita che Fincher muove ai media assume un’importanza maggiore.
Un secondo punto da analizzare è quello psicologico: il film è un lungo e delicato lavoro di una mente psicopatica pronta a compiere qualsiasi gesto, anche il più sconsiderato, pur di non fare i conti con l’accettazione della fine di un amore. Non c’è un movimento di macchina che dia l’impressione di essere di troppo, non c’è un elemento che possa sembrare riempitivo. Tutto è abilmente studiato. “Gone girl” è un film che cattura.
- “Millennium – uomini che odiano le donne” (2011)
Mikael Blomkvist è un giornalista, che ha ricevuto una condanna per diffamazione per avere attentato alla reputazione di un infido uomo d’affari. Henrik Vanger, potente industriale svedese, non si cura delle voci sul suo conto e lo ingaggia per venire a capo di una storia che lo tormenta da quarant’anni: sua nipote è stata probabilmente assassinata da un membro della sua numerosa e disturbata famiglia. Il giornalista si avvale della collaborazione di Lisbeth Salander, agente investigativo e hacker, con un passato infelice e un presente violento. Insieme riusciranno a risolvere il caso e a fare giustizia, dopo essere venuti a conoscenza di tutti i segreti che la famiglia Vanger nasconde.
Il film è il secondo adattamento cinematografico del romanzo di Stieg Larsson “Uomini che odiano le donne”, primo capitolo della trilogia Millennium, già portato sul grande schermo nel 2009. L’urlo di “Immigrant song” dei Led Zeppelin apre il film, che dai primi istanti fa presagire che si tratti di un lavoro perfettamente riuscito. “Millennium – uomini che odiano le donne” è un film violento e spietato, in cui non ci sono filtri. Ci sono scene crude, agghiaccianti, e assolutamente vere. Ci sono donne che lottano contro estranei che vogliono stuprarle, ma anche contro i loro stessi parenti. E ci sono vendette terribili, ma paradossalmente giuste. È un film d’azione, ma allo stesso tempo riflessivo, che resta profondamente fedele ai romanzi di Larsson. Omicidi, corruzioni, segreti di famiglia, e demoni interiori: una pellicola appassionante e piena di sofferenza, in cui è presente la già citata cura maniacale di Fincher per i dettagli. Più di due ore e mezza di cinema di alto livello.
- “Mindhunter” (2017)
Concludiamo con “Mindhunter”, la serie di David Fincher, su Netflix dal 13 ottobre. Non è una serie come le altre. La sceneggiatura è basata su fatti e persone reali (filmati, registrazioni, rapporti dell’FBI), che forniscono un quadro più dettagliato dell’opera di alcuni dei più pericolosi serial killer degli anni settanta. I due agenti protagonisti sottopongono i criminali a una serie di domande, per realizzare una sorta di profilo di un possibile omicida. Un vero e proprio viaggio nelle più perverse e malate menti. Si sa, il male seduce e affascina, ma quante ore si possono passare nelle menti di un serial killer? Gli angoli bui, le follie imprevedibili, i desideri inconfessabili: si deve essere davvero pronti ad affrontare tutto questo. Può risultare insostenibile, o assolutamente interessante.
“Psycho killer, qu’est-ce que?”, dice la canzone dei Talking Heads che fa da colonna sonora a una delle puntate. Il pubblico resta totalmente spiazzato, di fronte ad uno spettacolo in cui l’azione è praticamente inesistente, si esplorano soltanto menti umane per capire cosa le ha spinte a fare ciò che hanno fatto e per evitare che le stesse caratteristiche riscontrate in loro possano presentarsi in altri soggetti. È un lavoro innovativo, originale e non convenzionale.
Esplorando gli insidiosi meandri di menti che hanno partorito le più bestiali atrocità si può fare giustizia per il futuro: un metodo del tutto moderno. Cosa c’è di più ignoto di una psiche affetta da un male così tragico? Una puntata dopo l’altra avremo anche noi la voglia di addentrarci in quest’universo tanto spaventoso, animati dalla consapevolezza del valore di un progetto che nessuno ha mai intrapreso finora.
“Mindhunter” si sofferma su questo: l’eterna riflessione dell’essere umano sul mistero insondabile del Male. Un male che questa volta viene affrontato di petto, faccia a faccia, è un avversario da guardare negli occhi. Basta solo non restarne contagiati. Attendiamo con ansia la seconda stagione che è stata già annunciata da Netflix.
Mariantonietta Losanno