La distopia, contrariamente al concetto di utopia introdotto da Tommaso Moro, è la descrizione di una condizione futura in cui si prefigurano sviluppi sociali, politici o tecnologici estremamente dannosi e non auspicabili. Un esempio efficace è “1984”, celebre romanzo di George Orwell che descrive una realtà immaginaria in cui il mondo è diviso in tre grandi potenze totalitarie, costantemente in guerra tra loro. Il cinema, così come la letteratura, si è servito della fantascienza distopica per portare sullo schermo le conseguenze estremizzate di controversie attuali.
“Non lasciarmi” (2010), di Mark Romanek
Inghilterra, 1978. Kathy, Tommy e Ruth sono tre allievi di Hailsham, un collegio apparentemente come tanti altri istituti scolastici basati su una severa e rigida disciplina. In realtà il loro destino è stato già scritto dalla loro “nascita” : sono dei cloni umani creati in laboratorio allo scopo di diventare donatori di organi per gli esseri umani malati. Nonostante questo, i tre protagonisti immaginano un futuro diverso, che permetta loro di trovare un lavoro normale, il vero amore e persino il rinvio delle donazioni.
Tratto dall’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro (premio Nobel per la letteratura 2017), “Non lasciarmi” è un film emotivamente straziante perché ritrae una generazione rassegnata che deve sottostare ad un diktat che li trasforma da soggetti ad oggetti. L’accettazione di un destino segnato, senza alcuna possibilità di cambiamento, i sogni infranti, la coscienza della morte, sono tutti temi che il film indaga e colloca in un universo parallelo ma al tempo stesso familiare, per l’empatia e la facilità di immedesimazione che lo spettatore riesce ad avvertire. L’allegoria della storia ci permette di riflettere sull’inscindibile intreccio tra vita e morte, è come se si avvertisse un senso di impotenza nel volere a tutti costi vivere e amare. La formazione a cui sono sottoposti i ragazzi rappresenta una sorta di prigionia psichica, che non contempla alcuna forma di salvezza e che offre molti spunti di riflessione sulla condizione umana, sull’omologazione, sul libero arbitrio, sulla pressione di un potere che vuole plasmare l’essere umano. Nonostante venga descritta una situazione non reale, “Non lasciarmi” è tragicamente umano. I tre giovani non sono nati, eppure esistono, non sono mai stati concepiti, nessuno li ha mai considerati esseri umani. Eppure amano, intensamente e irrazionalmente. Romanek sullo schermo, e soprattutto Ishiguro nel romanzo, hanno mostrato la potenza deflagrante dell’amore.
Che cos’è allora la vita se l’identità dell’individuo viene annientata? Cosa resta all’uomo se gli si toglie la capacità di viaggiare, di scoprire, di pensare? Queste domande inquietanti e suggestive sono il fulcro del film che deve gran parte della sua riuscita alla potenza del romanzo. “Non lasciarmi” è un film intenso, profondo e duro, dove ogni cosa viene enfatizzata e portata all’eccesso, il dolore è tangibile, così come l’attualità di alcuni aspetti non reali ma potenzialmente realizzabili, in un mondo che sembra il nostro ma non lo è. Si possono scoprire all’interno del film anche interrogativi sulla scienza, sul progresso, sull’arte. Pur rientrando nel filone della fantascienza, che però non mette in scena nessuna tecnologia d’avanguardia dati gli scenari idilliaci utilizzati, “Non lasciarmi” è anche una struggente storia di amore e di amicizia, che provoca nello spettatore una forte speranza e una voglia di riscatto, per quanto si percepisca l’ineluttabilità del destino.
“Black Mirror”
“Black Mirror” è una serie televisiva britannica ideata e prodotta da Charlie Brooker nel 2011 che rappresenta gli effetti degeneranti delle tecnologie in futuri alternativi. Il filo conduttore di ogni episodio è l’assuefazione dovuta al progredire incessante di tutti i dispositivi tecnologici. Quello che rende “Black Mirror” una serie tv atipica e assolutamente attuale, è che molte delle forme di degenerazione mostrate non avvengono solo a livello macroscopico, ma anche nella vita quotidiana. Ogni episodio è a sé stante ed è inquietantemente profetico.
Tra gli episodi più emblematici ricordiamo :
1.“Torna da me”, di Owen Harris
Primo episodio della seconda stagione, “Torna da me” racconta la storia di Martha e Ash, una giovane coppia innamorata che si trasferisce in una casa di campagna. Dopo la morte di Ash a causa di un incidente stradale, Martha non riesce in alcun modo ad elaborare il lutto e in preda alla disperazione si rivolge ad un servizio on-line che permette di rimanere in contatto con i defunti. Ed è qui che la tecnologia entra in gioco. Estrapolando tutte le informazioni dei vari profili social che il defunto utilizzava, il servizio è in grado di simulare la sua personalità, diventando quindi capace di adottare il suo stesso linguaggio e il suo stesso pensiero. Dato che ogni situazione in ogni realtà distopica è estremizzata, anche in questo caso non ci sono limiti all’uso della tecnologia : se l’utente lo richiede infatti, il servizio permette delle funzioni avanzate che consentono di clonare la voce e addirittura di replicare le sue sembianze con un corpo in carne sintetica.
“Torna da me” mette in scena i dolori e le sofferenze di tante persone costrette ad affrontare un lutto. La nostalgia dell’amore, il senso di vuoto, il potere corrosivo dei ricordi : sono tutti elementi che pongono lo spettatore all’interno della storia, proprio perché sono sensazioni conosciute, avvertite sulla pelle.
2.“San Junipero”, di Owen Harris
Considerato da molti uno dei migliori di tutta la serie, “San Junipero” è un episodio di cui non è facile parlare.
Sono gli anni ’80, e Yorkie e Kelly si conoscono in una località di vacanza della California. Non potrebbero essere più diverse : Yorkie è timida, impacciata e riservata; Kelly è esuberante e sicura di sé, e sarà proprio lei infatti a cercare il primo contatto con Yorkie. Dopo essersi conosciute meglio, le due ragazze iniziano ad incontrarsi nelle settimane seguenti. Finora sembra che la tecnologia non c’entri nulla, ma è per questo che “Black Mirror” riesce ad essere brillante, perché riesce ad essere sorprendente ogni volta in un modo diverso.
In realtà Yorkie e Kelly sono due donne anziane entrambe malate che stanno sperimentando il programma di San Junipero, che permette loro di vivere in un mondo virtuale per alcune ore. Quelli che ci vivono stabilmente sono in realtà morti e le loro coscienze sono trasferite nel programma.
Al di là della sua genialità, “San Junipero” è una storia che tocca l’anima e che affronta ogni aspetto di un tema così complesso con una delicatezza estrema che non può lasciare indifferenti. “San Junipero” insegna che ogni attimo può essere quello giusto per essere felici, dobbiamo solo lasciarci trasportare dalle note di “Heaven is a Place on Earth with you” (il Paradiso è un posto sulla Terra insieme a te) di Belinda Carlisle.
“Her” (2013), di Spike Jonze
Her è un film che si inserisce perfettamente nell’ambito della fantascienza distopica.
Viviamo nell’epoca della tecnologia, degli scambi, della comunicazione, dell’interattività. Sembra una contraddizione ma la nostra è anche, e soprattutto, l’epoca della solitudine e dell’isolamento. Una solitudine che può avere molte accezioni : quella forzata, in genere imposta dalle circostanze della vita, come la prigionia, un handicap, la perdita di una persona cara; quella voluta, cioè di chi per scelta e non per obbligo, sente il bisogno di vivere momenti solo per sé, per trovarsi, e scoprirsi. C’è poi la solitudine imposta dalla nostra stessa società : i mass media, le pubblicità, spingono sempre di più a ricercare l’unicità, spingendo verso l’individualismo. La stessa tecnologia che ha accelerato le distanze fisiche, ha accentuato sempre di più quelle psicologiche. Ed è proprio in riferimento a questo argomento, che un film come “Her”, colpisce sempre di più. Un film affascinante, delicato e che apre continui spunti di riflessioni sul nostro io e sulla nostra realtà. Vincitore del premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, “Her” racconta la storia di un amore molto forte ed intenso, quella tra un uomo e il suo computer dotato di intelligenza artificiale. Potrebbe inizialmente sconvolgere questa sorta di relazione, ma quello che la rende naturale è la spontaneità e la genuinità dei sentimenti che ne scaturiscono : un insieme di cose a cui oggi non siamo più abituati. Certo, affrontare un argomento del genere non è un’impresa facile, né tantomeno quella di rappresentare una storia d’amore che ricade spesso nei facili cliché. La bravura del regista è stata quella di riuscire a sviluppare un tema così delicato e complesso in un maniera del tutto personale, creando un forte legame di empatia con lo spettatore. La pellicola è ambientata a Los Angeles, in una realtà non lontana dalla nostra, dove tutti vivono in simbiosi con il proprio smartphone o il proprio computer, immersi in una tecnologia che ormai è in grado di provare emozioni e di avere una coscienza propria.
Il regista, servendosi dell’alienazione tecnologica, è riuscito ad affrontare la solitudine, la comprensione, l’amore, la sessualità. Senza accusare o presentare la tecnologia come nemica, Jonze indaga la natura e i rischi dei rapporti umani, mostrando come l’uomo sia sempre più debole e fragile. Un rapporto così sincero che nella vita reale è sempre più difficile da incontrare : l’emozione che scaturisce dalle semplici parole di un uomo che non riesce a metabolizzare il distacco da sua moglie e riscopre se stesso affidandosi completamente a “qualcuno” che gli da fiducia, una persona che custodisca tutti i suoi pensieri più intimi e diventa il suo più fermo punto di riferimento.
Non è una critica verso la tecnologia, ma verso l’animo vulnerabile e fragile dell’uomo che diventa schiavo di questa. Una storia così irrazionale e folle che emoziona e commuove più di tante altre reali ma meno vere e autentiche.
Possiamo concludere citando altri film che seguono questo genere, tra cui “Scappa – Get Out” (2016), che prendendo esempio da “Indovina chi viene a cena” del 1967, arriva a toccare temi come il razzismo, la schiavitù, la manipolazione dell’uomo. La questione razziale ruota intorno al concetto dei bianchi che sfruttano i neri, e li riducono simili a zombie o burattini senza più anima per poter meglio usufruire della loro forza fisica, delle loro potenzialità e persino dei loro organi.
Altro esempio, infine, di un film in cui gli uomini sono ridotti al pari di oggetti di consumo è “Omicron” (1963), di Ugo Gregoretti.
L’operaio Trabucco viene ritrovato morto sulla riva del Po, al momento dell’autopsia però si rianima e comincia a muoversi : il suo corpo, in realtà, è stato impossessato da Omicron, un extraterrestre che prepara l’invasione della Terra. Questo alieno sviluppa una serie di capacità meccaniche e per questo viene riassunto in fabbrica. Non possiede facoltà intellettive, il che lo rende un operaio modello. Si può mettere in atto il meccanismo perfetto di produzione : sfruttare un infermo per aumentare il fatturato. Se gli si risvegliasse l’intelligenza e la parola non potrebbe essere manovrato allo stesso modo.
Il film di Gregoretti è una metafora sotto forma di film di fantascienza : Trabucco è una creatura alienata e mercificata, un uomo inesistente. È una pellicola purtroppo poco conosciuta ma di grandi intuizioni, in grado di mostrare quanto sia “malato” il nostro pianeta e quanto ci si possa spingere oltre qualsiasi limite pur di aumentare i ritmi produttivi, per annullare la coscienza morale e “installare” quella operaia.
di Mariantonietta Losanno