di Luigi Cobianchi*
Allorquando, con propria Risoluzione del 28 Luglio 2010 (document A/64/L.63/REV.1), l’ONU, per la prima volta nella storia, dichiarò quello all’acqua “un diritto umano universale e fondamentale”, mai avrei immaginato che, un giorno, anche alle nostre latitudini un siffatto pronunciamento avrebbe acquisito tanta attualità e vicinanza.
Nel predetto documento ufficiale si afferma, come principio, quello per il quale “……l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari è un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti gli altri diritti umani.” (“the access to drinking water and sanitation is a human right essential to the full enjoyment of life and of all other human rights.”).
Parole ispirate che, tuttavia, ho potuto comprendere appieno solo nel corso dell’ultimo soggiorno che ho trascorso – come ogni Estate, dal 1980 – nella casa che la mia famiglia ha a Formia, il più travagliato che ricordi a memoria.
Per tutto l’anno, chi lavora, soprattutto nei momenti di maggiore impegno, agogna le proprie vacanze, pregustando momenti di spensieratezza e di riposo.
Ed, invece, le mie, già di per loro brevi ferie, sono state letteralmente funestate dalla cosiddetta “emergenza idrica”, con continue corse per l’approvvigionamento di acqua – come nel più arretrato paese del terzo mondo – docce fredde improvvisate, fatte con bottiglie in precedenza riempite, impossibilità di ospitare decorosamente parenti ed amici o di organizzare anche cose banali, come una cena la sera, in compagnia.
Un disagio comunque minimo, se paragonato al vero e proprio inferno che hanno vissuto quei Cittadini che meritano, in ogni contesto civile, maggiore attenzione e rispetto, in considerazione della loro età o per particolari condizioni di vita e/o di salute.
Procurarsi l’acqua – un bene primario, indispensabile, non certo un “di più” voluttuario – per i tanti, troppi anziani che vivono da soli e per le persone con ridotte abilità motorie è divenuta un’impresa.
Né i servizi di assistenza attivati (non proprio con solerzia) dalle competenti amministrazioni hanno potuto sovvenire più di tanto alle esigenze delle fasce sociali più deboli: per chi già ha difficoltà, ordinariamente, a prendere il bagno o a fare una doccia, a causa del proprio stato fisico, avere una (piccola) scorta di acqua a domicilio (più o meno) non ha risolto il problema del suo materiale utilizzo: riempire (si fa per dire) una vasca, ma anche un utensile da cucina, da una capiente – e, quindi, pesante – tanica può rappresentare un ostacolo insormontabile per chi non ha – o non ha più – braccia forti, o che riesce a spostarsi, anche in casa, solo attraverso l’utilizzo di speciali presidi.
Per settimane, nell’intero arco delle ventiquattro ore, famiglie che risiedono ai piani alti di condomini ubicati anche in pieno centro urbano si sono trovate nell’impossibilità financo di crearsi delle piccole scorte, nelle ore in cui sarebbe dovuta essere assicurata la fornitura idrica, per l’esiguità della pressione ai rubinetti; ciò, oltretutto, in assenza di un’adeguata informazione e con un’inaccettabile variabilità negli orari di interruzione dell’erogazione.
Né chi di dovere può minimamente pensare di dare per “assolti” i propri obblighi istituzionali, quale ente gestore di un pubblico servizio, comunicando le predette variazioni attraverso la pubblicazione di bollettini d’aggiornamento sulla propria pagina Internet – ciò che taglia fuori dall’accessibilità alle informazioni una vastissima fascia d’utenza, ancora una volta quella più fragile e/o meno attrezzata – piuttosto che con il mero invio di laconici “sms”, spesso trasmessi a pochi minuti dall’evento ed in alcuni casi pervenuti ai fortunati destinatari (perché non tutti gli utenti hanno fornito alla società de qua un numero di telefonia cellulare, non essendo stati, peraltro, mai richiesti, a tanto) anche un’ora dopo, ciò che impediva, di fatto, l’adozione, in tempo utile, di qualsivoglia contromisura, quale, ad esempio, quella più banale di uno stoccaggio preventivo, straordinario di acqua.
Sempre rimanendo nell’ambito privato, al di là dei disagi sul piano più propriamente personale, le arbitrarie interruzioni quotidiane nella fornitura di acqua hanno cagionato danni anche di natura economica, per esempio ai proprietari di immobili, un numero cospicuo dei quali ha dovuto subire il recesso anticipato, unilaterale dei contratti di locazione in precedenza stipulati con i propri conduttori.
Ciò ha messo in serie difficoltà intere famiglie, soprattutto quelle di chi è solito affittare i propri cespiti per i soli mesi estivi, facendo affidamento sulle relative entrate per vivere – o incrementare il proprio reddito – anche in quelli invernali.
Oltre a queste voci da “lucro cessante”, l’utenza tutta ha subito danni emergenti alle cose: dagli apparecchi collegati alla rete idrica – caldaie per il riscaldamento e la produzione di acqua calda, scaldabagni, lavatrici, lavastoviglie, pompe irrigue, ecc., che hanno manifestato guasti in taluni casi irreparabili – alla necessità di richiedere continui interventi di operai specializzati per la pulizia, previo smontaggio, dei filtri di rubinetti e macchinari, intasati di detriti, di varia natura, che, ogni mattina, all’atto delle manovre di riapertura delle valvole di comando e/o parzializzazione della rete, immancabilmente entrano in circolo; dalla devetrificazione delle stoviglie e dalla decolorazione degli indumenti, provocata dal malfunzionamento degli apparecchi di lavaggio, all’essiccazione delle piante che adornano aiuole e giardini – rappresentando un tratto fortemente qualificante per la Città di Formia – cagionata dal mancato attivarsi degli impianti di irrigazione automatica e dall’impossibilità di effettuare, in taluni casi, financo innaffiature a mano.
E, a tal riguardo, si ha un altro aspetto singolare dell’intera vicenda: le ordinanze a mezzo delle quali la Cittadinanza è stata diffidata, negli ultimi mesi, dall’utilizzare acqua per scopi irrigui.
In disparte gli aspetti più propriamente finanziari, legati alle produzioni agricole che, in conseguenza di questi dispositivi, sono state messe letteralmente in ginocchio, da figlio di Biologo, Professore Universitario Ordinario di Botanica Generale, non posso non stigmatizzare recisamente siffatti provvedimenti: le piante, vivaddio, sono esseri viventi. Vieppiù, la presenza di organismi fotosintetici sul nostro pianeta – unici produttori di ossigeno – assicura (appena appena), sulla Terra, la vita umana e, più in generale, quella animale!
Al di là di ciò, nell’unico Paese al mondo che vede inserita la salvaguardia del paesaggio e del patrimonio tra i capisaldi della propria Carta Fondante (cfr. art. 9, comma 2), tra i principi fondamentali, immodificabili anche con procedura aggravata; in una Nazione la cui più recente normativa, introducendo la fattispecie del reato ambientale, tutela specificamente le specie vegetali protette e gli alberi secolari, attraverso l’adozione di rilevanti sanzioni, detti provvedimenti appaiono illegittimi, sia in punto di Diritto Costituzionale (e ciò già basterebbe), sia di Legislazione Statale, ma anche avuto riguardo alle specifiche discipline adottate dalle Regioni, in generale, ed in particolare dal Lazio.
E non si contano i danni irrimediabili che la flora locale – tanto quella pubblica, che quella a dimora in aree private – ha subito per scelte che appaiono inammissibili, anche perché – come meglio argomenteremo nel prosieguo – assolutamente ingiustificate ed ingiustificabili.
Vi sono, poi, da considerare gli aspetti igienico-sanitari, correlati all’arbitraria, costante interruzione della fornitura idrica.
La difficoltà, se non l’impossibilità di ottemperare alle più elementari pratiche di pulizia personale e domestica avrebbe determinato – come registrato dal titolate di una delle Farmacie storiche di Formia, sulla base dei farmaci richiesti – un significativo, anomalo incremento di dermatiti, anche da micosi, congiuntiviti, gastroenteriti, attacchi dissenterici, ecc..
Ma, ben più gravi appaiono i dubbi, da più parti espressi, sulla reale potabilità dell’acqua, all’atto del mattutino ripristino della fornitura idrica: è stata esperienza comune, in questo frangente, il constatare, ripetutamente, il colore marroncino che essa aveva – ed ha – al rubinetto, l’odore pungente, la presenza – come già detto – di scorie e detriti di ogni sorta.
Venendo, invece, agli esercizi pubblici, le difficoltà che gestori ed avventori di bar e ristoranti si sono trovati a dover affrontare all’improvviso – senza avere la possibilità di adottare, per tempo, gli opportuni correttivi – appaiono incalcolabili, nuovamente con immancabili conseguenze, per i primi, anche sul piano economico, a causa dei ridotti incassi: quante volte, nelle caffetterie, turisti, magari stranieri, esterrefatti, alla banale richiesta di poter consumare la bevanda nazionale per eccellenza (assieme al vino, al prosecco e agli spumanti), il caffè, si sono sentiti rispondere che non era possibile prepararlo per la mancanza d’acqua; oppure alla domanda di poter accedere ai servizi igienici – la cui presenza ed il cui utilizzo, in siffatti esercizi commerciali, sono tutelati dalla Legge, rappresentando una conditio sine qua non ai fini del rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento dell’attività – si sono visti opporre un diniego, per lo stesso motivo?! Ciononostante, le predette aziende hanno continuato ad operare, in assenza di un cogente divieto – o, quantomeno, di adeguati controlli – da parte delle Autorità competenti (salvo le strutture interessate non fossero dotate di un adeguato sistema di stoccaggio dell’acqua, a mezzo di pozzi, cisterne e/o autoclavi) anche negli orari (invero, come detto, variabili) di interruzione della fornitura idrica.
Chi pagherà per tutto questo?
Perché il problema, oggi, è tutto qui, in un Paese che, troppo spesso, si è dimostrato uso ad individuare, al più, eventuali responsabilità, lasciando impuniti i responsabili, in totale spregio dei principi dell’“individualità” dell’attribuzione (cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 27, comma 1) e dell’obbligatorietà dell’azione penale (ibidem, art. 112).
Ma, per inquadrare correttamente la problematica, nella sua genesi e nei suoi aspetti “ermeneutici”, occorre porsi una domanda prodromica, che chiude il ragionamento da cui siamo partiti: a Formia è ammissibile parlare di “emergenza idrica”, o, piuttosto, nel farlo, si incorre in un’iperbole?
Che la Primavera e l’Estate del 2017 abbiano registrato un volume scarsissimo di precipitazioni atmosferiche è un dato incontrovertibile. Che la stagione estiva appena trascorsa sia stata una delle più calde (non la più calda) degli ultimi vent’anni è un fatto oggettivo, sensibile, per avere contezza del quale non c’è bisogno di disturbare esperti climatologi. Negare che in alcune aree del nostro Paese, caratterizzate da una cronica carenza idrica per la scarsità di sorgenti, si sia assistito ad un vero e proprio fenomeno di siccità sarebbe assurdo.
Ma a Formia (e dintorni) le cose appaiono ben diverse!
Se dobbiamo prestare fede all’interpretazione etimologica che se ne dà, Formia deriverebbe il suo nomen dal toponimo “Ορμίαι” – verosimilmente derivante dalla radice del verbo “ὁρμίζω”, piuttosto che da quella del sostantivo derivato “ὅρμος” – che le sarebbe stato attribuito, nell’antichità, dai Greci, i quali riconobbero in questo luogo un “buon approdo”.
E perché Formia era (ed è) un “buon approdo”? Indubbiamente per la sua geomorfologia, per l’assenza di correnti marine perniciose ma, soprattutto, per l’abbondantissima presenza di acqua dolce, scaturente da un inusitato numero di sorgenti, da non doversi ricercare (ed intercettare) in alta montagna, bensì presenti addirittura sin quasi al livello del mare, ciò che ne fa un caso unico a livello della Penisola Italica (e non solo).
Lo stesso dicasi, sia pur in misura diversa, per Gaeta, in cui l’abbondante presenza di fenomeni carsici nelle grotte che aggettano in mare (si veda, giusto a titolo di esempio, quelle poste a ridosso della spiaggia dell’Arenauta) è più eloquente di mille parole.
E che ne è stato di queste sorgenti? Si sono, forse, prosciugate, per sopravvenuti fenomeni geofisici? A dire degli esperti no, sono tutte lì, pronte a dare acqua dolce e pulita. Semplicemente, pur note a Greci e Romani, non sarebbero mai state intercettate e canalizzate in epoche più recenti.
Eppure alcune di esse, creando un fenomeno tanto raro, quanto suggestivo, sgorgano spontaneamente a mare in più punti del litorale ed, in particolare, a Formia, poco dopo Vindicio, nello specchio d’acqua antistante Villa Accetta, oltre che sulle spiagge di Fontania e San Vito, a Gaeta.
A questa ignavia si aggiunge un altro problema: quello delle perdite lungo la rete che, per stessa ammissione del Primo Cittadino di Formia, supererebbero il 60%.
In buona sostanza, pacificamente si è ammesso che è ben più l’acqua che si disperde, rispetto a quella che si riesce a distribuire!!
Un fatto intollerabile, innanzitutto sul piano etico, eppure ammesso, anche in una trasmissione televisiva nazionale, con una calma quasi serafica, come se il problema riguardasse altri e non ricadesse innanzitutto su chi è a capo di un’Amministrazione civica.
Se realmente questo è lo stato di cose, con quale rispetto per i Cittadini si può parlare di “emergenza” idrica? Non si tratta piuttosto della classica “cronaca di una morte annunciata”, all’italiana?
Sarebbe bastata, in buona sostanza, una normale campagna di manutenzioni ordinarie – e, ove del caso, anche straordinarie – progettate per tempo, con i fondi a tanto destinati, perché i Cittadini di Formia – e, più in generale, del Golfo tutto – quest’Estate potessero godere di oltre il 60% di acqua in più, rispetto a quella messa a loro disposizione, non vivendo, così, alcuna emergenza e addirittura potendo concedersi il privilegio, attraverso autobotti o navi-cisterna, di farne dono a chi, nel nostro Paese, per reale mancanza di fonti di approvvigionamento idrico, ha effettivamente vissuto una situazione eccezionale, imprevista e problematica.
Sul punto mi si consenta di svolgere una piccola digressione di natura deontologica, se mi si passa il termine: si può imporre a chicchessia ciò che, in re ipsa, ha l’attributo dell’assoluta gratuità, ovvero il dono? E’ lecito mettere un’intera Cittadinanza di fronte al fatto compiuto, deciso nelle segrete stanze del “potere”, di essere privata di un proprio diritto esistenziale – quello ad avere l’acqua ventiquattr’ore su ventiquattro – perché occorre darla a Comuni viciniori?
Da Cristiano non posso che attenermi al “criterio di maggiore carità”. Uno statista, ma anche un semplice Amministratore locale spesso è chiamato a compiere, per il miglior bene comune, scelte che, nell’immediato, risultano impopolari (e che, semmai, gli pregiudicano ogni futuro impegno politico). Tuttavia, nel caso di specie, un’Amministrazione può decidere, in nome e per conto dei Cittadini di cui è esponenziale, di rinunciare ad un bene vitale in favore di chi non è in stato di bisogno per eventi imprevedibili ed eccezionali, ma per la propria ignavia?
Se i Comuni contigui con quello di Formia hanno sorgenti idriche – in alcuni casi più d’una – e, per incuria o altro, non le hanno mai intercettate, deontologicamente parlando, è lecito togliere a chi ha per dare a chi ha in egual modo o, se non ha, è semplicemente perché non si attrezza adeguatamente?
Tornando a Formia, la cosa che da ex consigliere di un Capoluogo di Provincia mi ha sorpreso (e turbato) di più, in tutto questo frangente, è il silenzio assordante dell’Amministrazione, e stavolta non mi riferisco al Primo Cittadino, ma al Consiglio Comunale ed, in particolare, alle Opposizioni, sempre che ve ne sia ancora un’espressione nel Municipio, atteso che certe dialettiche per così dire di “scivolamento”, di cui apprendo dagli Organi di Stampa, mi lasciano a dir poco esterrefatto.
Non c’è che dire, un Sindaco ed una Giunta “fortunati” quelli di Formia, che evidentemente non poco si giovano di questa grottesca situazione venutasi a creare, atteso che, a qualsivoglia altra “latitudine”, per molto, molto meno avrebbero da lunga pezza ricevuto il “foglio di via” dalla metà più uno dell’assise consiliare.
Perché i Consiglieri non si siano mossi in tal senso non devono certo spiegarlo allo scrivente, ma ai Formiani. Vero è che molti, troppi pubblici amministratori, di ogni ordine e grado, spesso dimenticano che l’unico “vincolo di mandato”, se mi si passa l’espressione, lo hanno con il Popolo Sovrano tutto (cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 67 e Edmund BURKE, Discorso agli Elettori di Bristol, 3 Novembre 1774), non con questo o quel Partito, né con chi, nello specifico, li ha eletti, né, tantomeno, con il proprio scranno, cui qualcuno sembra pervicacemente incollarsi, con ogni adesivo in commercio.
Mi sarei aspettato – dopo un mese d’Agosto infernale, che ha registrato, sul suo finire, la sacrosanta protesta dei Cittadini, oramai esacerbati dalla situazione in sé, divenuta intollerabile, ma, soprattutto, dal non ricevere risposte su una data certa dalla quale in poi il problema sarebbe stato definitivamente risolto – la convocazione immediata di un Consiglio Comunale monotematico, già il 1 Settembre, atteso che quello è il “luogo” istituzionale di naturale confronto ed interscambio tra elettori ed eletti, tra “deleganti” e “delegati”, in cui, oltretutto, i Presidenti delle Commissioni Consiliari – con particolare riferimento a quelle di controllo – hanno il diritto, ex Lege, di convocare in audizione chiunque ritengano opportuno, al fine di tutelare al meglio gli interessi pubblici della collettività di cui il Consiglio stesso è espressione, costituendo il massimo Organo di rappresentanza popolare, a livello locale, superiorem non recognoscens, nemmeno il Sindaco.
E – si noti e si badi – visto che ogni singolo Consigliere Comunale, nell’esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale, la mancata adesione ad una chiamata in audizione da parte di chi ne ha facoltà, rappresenta per l’inadempiente un reato, né più, né meno che se non avesse risposto ad un formale mandato a comparire da parte dell’Autorità Giudiziaria.
Sarebbe stato davvero interessante, audire, in Consiglio, in seduta pubblica, davanti ai Cittadini Sovrani di Formia, i vertici della Società che gestisce la risorsa idrica, domandando loro, una per tutte, cosa avessero da dire, rispetto alle cennate, abbondantissime perdite nella rete.
E se avessero tentato di negare ogni attribuzione, il Consiglio, in virtù del proprio potere sovrano di indirizzo e di sindacato ispettivo su ogni attività dell’Amministrazione comunale, delle eventuali Società partecipate, di fornitori e cottimisti dell’Ente, avrebbe potuto far voti affinché immediatamente il Sindaco, per il tramite dell’Ufficio Legale del Municipio, avviasse, in Sede Giurisdizionale, la procedura della Consulenza Tecnica Preventiva (cfr. art. 696 bis cpc, da non confondersi con l’Accertamento Tecnico Preventivo, ex art. 696 cpc), ponendo al Consulente Tecnico nominato dal Tribunale due semplicissimi quesiti: se ci sono – o meno – perdite nella rete idrica che alimenta la Città di Formia e, in caso affermativo, qual è la loro entità, segnalando all’Autorità Giudiziaria eventuali responsabilità.
Ed, invece, questa assurda inazione non ha fatto altro che alimentare vieppiù una rete di sospetti ed illazioni, certamente destituiti di ogni fondamento, ma che, non smentiti da fatti concreti, sono andati autoalimentandosi: interessi privati di politici nell’ambito di una “parentopoli” legata al gestore del servizio, piuttosto che tentativi di speculazione da parte di imprenditori che operano nel settore della progettazione e realizzazione di impianti di dissalazione dell’acqua marina.
A tal riguardo si sono susseguite voci sempre più insistenti – anche queste sicuramente infondate, sia pur enfatizzate anche dalla Stampa – per le quali questi soggetti sarebbero riusciti ad esercitare (non si sa come) una tale forza coercitiva da riuscire a condizionare le Amministrazioni Locali, facendo apparire come “emergenziale”, un banale problema di ordinaria carenza idrica, risolubile con minimi razionamenti mirati, programmati, condivisi con la Cittadinanza.
Eppure sarebbe bastato – come detto – tanto poco per eradicare alla radice questo clima di veleni e di sospetti: un gesto, un solo atto formale, concreto, come la Consulenza Tecnica Preventiva, testé invocata, con il quale la/e Amministrazione/i Comunale/i interessata/e dalla cosiddetta “emergenza” ribadisse/ro la propria assoluta terzietà rispetto al gestore.
In verità, al fornitore del servizio idrico andrebbero poste tante altre domande, per esempio la ratio di trionfalistici comunicati stampa con cui, all’ultima presentazione dei dati di bilancio, ci si vantava di poter esporre un utile (anche cospicuo).
Ebbene è possibile che l’azienda in parola o, quantomeno, i suoi addetti alla comunicazione non sappiano che, a differenza di un qualsivoglia soggetto di Diritto Privato – che persegue la produzione e la massimizzazione del profitto – le Società partecipate, allo stesso modo degli Enti pubblici, mirano al pareggio di bilancio, per dare conto di una sana amministrazione?
Perché se sono in “attivo”, delle due l’una: o hanno intimato (illegittimamente) ai contribuenti il pagamento di tariffe (imposte,per le P.A.) troppo onerose; oppure sono state incapaci di spendere il denaro che hanno incamerato, utilizzabile esclusivamente, ex lege, per investimenti propri e strutturali, piuttosto che per le manutenzioni, fermi restando i costi di funzionamento.
E, al riguardo, vorrei potere porre io tre quesiti al consorzio pubblico-privato che gestisce l’acqua a Formia e dintorni, soprattutto alla parte pubblica: chi ha stabilito gli (esorbitanti) emolumenti che percepiscono i membri del suo organo di indirizzo politico-amministrativo e della direzione generale? E’ prevista, secondo buon senso, una componente fissa ed una “di risultato” e, in caso affermativo, in attesa che chi di dovere, dalle Sedi competenti, commini eventuali sanzioni patrimoniali, ove ne ricorrano i presupposti, i Comuni dell’ATO4, che detengono il 51% del capitale dell’azienda in parola, hanno immediatamente disposto, alla luce del disastro che si è verificato quest’Estate, l’azzeramento di ogni premialità?
Se non l’hanno fatto, sarebbe meglio per loro che si attrezzassero immediatamente, in “autotutela”: la Corte dei Conti a volte arriva con ritardo, ma non manca mai un appuntamento..!
Nelle scorse settimane, vivaddio (“meglio tardi che mai”) è stato inaugurato il “campo-pozzi” dei “25 Ponti”, con un’enfasi che certamente ai Cittadini del luogo con più primavere non potrà non aver richiamato alla memoria scene da “ventennio” (l’impavido leader che sorseggia l’acqua appena sgorgata…), mai così fortemente vissute come nella Provincia di Latina e nell’Agro pontino, teatro di tanta propaganda in una certa stagione storica, la quale, tuttavia, dei risultati, in zona, incontrovertibilmente produsse.
Proclami, annunci, cerimonie pompose, il tutto per…. venticinque litri al secondo in più immessi in rete. Un numero pronunciato trionfalisticamente, nella speranza che facesse effetto almeno tra i Cittadini “comuni”, cui non è fatto certo obbligo di conoscere le definizioni di “portata massica” e, rispettivamente, “volumetrica” di un fluido che attraversa una condotta e i loro ordini di grandezza, piuttosto che quelli del fabbisogno idrico giornaliero di una Comunità di circa quarantamila persone.
Pochini assai, in verità, 25 l/s e, comunque, ben lontani dalle portate che occorrerebbero per compensare il prosciugamento che si è registrato, quest’Estate, nelle due principali sorgenti che danno acqua a Formia e dintorni.
Ma il problema è un altro: a piovere è piovuto (e non poco). Le temperature si sono abbassate, ciò che ha determinato una drastica riduzione del fenomeno dell’evaporazione dei bacini. L’escursione termica, tra il giorno e la notte, è aumentata sensibilmente, importando un incremento dei fenomeni di condensazione naturale del vapore acqueo. La nuova fonte, battezzata suggestivamente “Tulliola”, è stata collegata alla rete generale…. e allora per quale motivo, per il quinto mese di seguito, i Cittadini Formiani continuano a subire interruzioni quotidiane nella fornitura idrica?
E torniamo al discorso delle congetture che si autoalimentano….
Non vorrei che per l’acqua, a Formia, si stesse riproducendo, mutatis mutandis, lo stesso fenomeno, di rilievo nazionale, cui noi Italiani siamo oramai tristemente avvezzi, con riferimento ai carburanti: diminuisce il prezzo del petrolio, ma quello della benzina e del gasolio resta inalterato….
O, ancora, per rimanere sempre in tema di combustibili per autotrazione, non vorrei che, nella Città di Cicerone, accadesse, per l’acqua, quanto si verifica con le accise, con buona pace dell’ex-Presidente del Consiglio (Dio ce ne scampi!), che aveva gridato allo scandalo, impegnandosi a rimuoverle tutte, una volta al Governo: come gli Italiani devono ancora pagarle – nonostante siano trascorsi circa ottantun’anni dalla fine della Guerra d’Etiopia; sessantun’anni dalla Crisi di Suez; cinquantaquattro anni dal disastro del Vajont; cinquantuno anni dall’alluvione di Firenze; quarantanove anni dal terremoto del Belice; quarantun’anni da quello del Friuli; trentasette anni da quello dell’Irpinia; trentaquattro anni dalla Guerra del Libano; ventuno anni dalla Missione in Bosnia, ecc. – così i Formiani, per una modesta siccità verificatasi nell’Estate 2017, debbano restare con l’acqua razionata per decenni!
A chiusura di questa sorta di question time irrituale, vorrei porgere un’ulteriore domanda direttamente al Primo Cittadino di Formia, che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare per la Sua cultura e sensibilità, soprattutto in ambito umanistico: caro Sindaco, Ella non fa nulla per nascondere la sua appartenenza politica. Nella Città che amministra sovente si organizzano amarcord financo di personaggi di terza o quarta linea della nomenclatura di Sinistra – altrove del tutto obliati – e si festeggiano, con altrettanta frequenza, come forse solo in alcune aree dell’entroterra emiliano, ricorrenze minori, care (solo) a quella storia politica, mentre riecheggiano per le strade cittadine le note di brani tipici delle Feste dell’Unità.
Ebbene, in virtù proprio delle tradizioni che Ella esprime, non può non ricordare che gl’Italiani si sono espressi inequivocabilmente, plebiscitariamente sul fatto che l’acqua debba restare un bene pubblico, non privatizzabile.
Mi direbbe cortesemente, allora, cosa aspetta a farsi promotore di un’iniziativa sovracomunale, che veda l’immediato recesso dei Comuni dell’ATO4 (o, almeno, della maggioranza di essi) da questa gestione che non sembra affatto compatibile con gli esiti della consultazione popolare testé richiamata?
E come sarebbe bello se i Consiglieri della Sua maggioranza (almeno di quella primigenia), in una seduta del Consiglio Comunale convocata ad hoc, Le dessero compatti un tale mandato!
Ma c’è un’altra cosa che vorrei affidare alle Sue cure: il problema dei risarcimenti, da parte del gestore, che innegabilmente spettano a chi ha utenze idriche nel Comune di Formia, soprattutto qualora la Consulenza Tecnica Preventiva di cui parlavo – ove attivata – dovesse verificare i dati sulle perdite in rete, che Ella stessa ha diffuso attraverso un’emittente televisiva nazionale.
A mio sommesso avviso, invero, non dovrebbero essere i privati ad avviare una class action, o quant’altro, quando vi è una Pubblica Amministrazione – nella fattispecie quella comunale – che può e deve tutelarli, oltretutto avendo efficacissimi strumenti di Legge per farlo.
Ed al di là dei danni – materiali e non – cagionati dalla quotidiana interruzione di un pubblico servizio – protrattasi, oltretutto per mesi (e tutt’ora in corso) – il gestore non può non essere chiamato a responsabilità per un’altra questione, già evidenziata tanto dalle Associazioni di Consumatori più attente al caso di specie, che dagli Organi di informazione: quella di una copiosa, non certo fisiologica quantità di aria che si diffonde nella rete idrica, ogni giorno, a causa delle manovre di sospensione e ripristino della fornitura, aria che movimenta i rotismi dei contatori, alterando pesantemente i dati relativi al consumo.
Il fenomeno – ben noto in letteratura tecnica ed agli addetti del settore – se è tollerabile in caso di episodi sporadici, nella fattispecie andava immediatamente affrontato – e risolto – dotando o le condotte della rete interessata dalle manovre, ovvero, con un intervento più capillare, le singole utenze di apposite valvole di sfiato ausiliarie, opportunamente dimensionate.
Purtroppo questo intervento non poteva – e non può – essere demandato all’utenza, atteso che detti dispositivi vanno montati a monte dei misuratori, sul tratto di tubazione di competenza esclusiva del gestore, ove ogni arbitraria modificazione da parte dei consumatori si configurerebbe come manomissione, importando conseguenze anche di rilievo penale.
E’ giusto che i Cittadini Formiani (e, più in generale, quelli dei Comuni afferenti all’ATO4) non solo debbano già pagare l’acqua (ivi compresi i reflui e la depurazione) – ed a costi esorbitanti – nonostante il richiamato referendum, ma, da quest’anno, addirittura… l’aria?
Sindaco, non può non intervenire, almeno su questo paradosso!
In conclusione, non posso non esprimere la mia vicinanza morale ai Concittadini del Golfo che rischiano conseguenze giurisdizionali per la protesta civile da loro messa in essere, rispetto alla crisi idrica.
So che vale assai poco, che ben altre attestazioni di solidarietà erano attese, soprattutto da parte del Consiglio Comunale di Formia. Sorprendentemente, non sono arrivate.
Mi permetto di definirli “Concittadini” – pur non risiedendo a Formia o a Gaeta, né avendo avuto modo, mio malgrado, di acquisire meriti personali o benemerenze nei confronti di queste Città tali da consentirmi di aspirare alla Cittadinanza onoraria dell’una o dell’altra – per l’affetto che porto a queste Comunità; il rispetto che ho per la loro storia; il fortissimo legame che le mie famiglie d’origine, paterna e materna, hanno avuto con questi luoghi, che si perde nel tempo; da ultima, ma non per ultima, per quella genesi comune che ci vedeva uniti, all’interno della “Piccola Patria Napoletana” – cui i Borbone diedero dignità di Nazione e di primaria Potenza economica sullo scacchiere internazionale – nella Provincia più grande d’Italia, quella di “Terra di Lavoro”, fatta di un DNA, una lingua, di tradizioni secolari vissute assieme, che un’infausta decisione – assunta, oltretutto, da un regime dittatoriale – non può cancellare.
Non so se, in quei momenti concitati, qualcuno possa essersi lasciato prendere la mano: non ero lì. Ma sono certo che gli ottimi Magistrati, inquirenti e giudicanti, del competente Tribunale sapranno egregiamente immedesimarsi nelle condizioni di assoluta esasperazione in cui i predetti Cittadini sono stati portati da uno stato di cose intollerabile, vergognoso, incivile, incompatibile con gli standard minimi riconosciuti in uno Stato di Diritto.
Sarebbe davvero grottesco, oserei dire kafkiano, che restassero impuniti pubblici amministratori e gestori che hanno, direttamente od indirettamente, determinato, con comportamenti commissivi, ovvero omissivi, il disastro subito da decine di migliaia di Cittadini inermi ed incolpevoli, mentre venissero condannati Cittadini che, sentendosi abbandonati da tutti, Istituzioni comprese, hanno deciso di ricorrere ad una delle forme di esercizio diretto della Sovranità che è la protesta di piazza, sempre che sia pacifica e rispettosa dell’Ordine Costituito e delle libertà altrui.
Ma sono persuaso che ciò non accadrà, anche perché, diversamente, monterebbe, in un nulla, un caso nazionale, in un Paese ancora troppo scosso da pagine buie, come quella del G8 di Genova, che vivaddio, rappresentano episodi isolati di “sonno della ragione”, in una Repubblica che, in infinite occasioni, non meno difficili, ha dato prova di maturità, di solidità, di equilibrio.
* già: