di Alessandro Barbieri*
Sono trascorse solo poche ore dalla nuova sentenza emessa dalla Cassazione su Bruno Contrada.
Proviamo, prima di avviare un primo spunto, a fare un breve riepilogo degli ultimi venticinque anni di vita processuale del cittadino Contrada.
Arrestato il giorno della vigilia di Natale dell’anno 1992, Bruno Contrada è stato “imputato” per lunghi anni, circa quindici, sino alla definitività della sua condanna.
Condannato in primo grado, assolto in appello, sentenza annullata in Cassazione (nonostante il rappresentante della pubblica accusa chiedesse la conferma della sentenza d’assoluzione), di nuovo condannato dalla Corte d’appello, sentenza resa definitiva dalla Cassazione nell’anno 2007.
Durante la fase della detenzione, tuttavia, inaspettatamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condannerà l’Italia in relazione al “reato contestato” (concorso esterno in associazione mafiosa) al Contrada, ritenendolo di creazione giurisprudenziale e non addebitale ad un cittadino italiano per lo meno sino all’anno 1994 (anno in cui la Cassazione emise – a Sezioni Unite – una celebre sentenza a carico di un politico campano).
La Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’anno 2015, ha infatti condannato l’Italia per violazione dell’art. 7 CEDU, in quanto ha riconosciuto che la condanna subita da Bruno Contrada (già, peraltro, scontata) riguardava un reato che, al tempo delle condotte a lui ascritte, non era sufficientemente chiaro e prevedibile.
Da quel momento in poi i difensori hanno cercato di ottenere il risultato giunto da pochi giorni solo grazie all’intervento risolutore della Cassazione.
Ovvero la dichiarazione di ineseguibilità ed improduttività di effetti penali della sentenza emessa nei confronti di Contrada.
La vicenda giudiziaria di Contrada sembra così concludersi dopo ben 25 anni.
In buona sostanza Contrada è stato processato e condannato in relazione ad un reato che all’epoca in cui fu commesso era “fumoso”, per cui la sentenza benché eseguita (Contrada ha scontato tutta la pena) non potrà produrre effetti.
Dopo, però, avere prodotto l’effetto più dirompente sulla libertà dell’imputato.
Questo dopo ben venticinque anni, interminabili processi, diverse sentenze, una trentina di giudici italiani che hanno emesso provvedimenti in merito.
Il tempo si dice essere galantuomo.
Io, dal mio canto, continuo ad indignarmi ed a pensare che non si può incidere sulla vita di un essere umano con tale tempistica.
Chiaramente la norma da poco approvata incide soprattutto per i reati di non rilevante impatto sociale, in quanto per i reati “più gravi” già da oltre una decina d’anni era stata introdotta una norma che li raddoppiava, rendendoli di fatto imprescrivibili.
Allora, cari concittadini imputati, sappiate che potrebbe facilmente capitarVi di essere sottoposti ad un procedimento penale che duri almeno dieci anni senza che venga dichiarata la prescrizione.
Io, pur non essendo di mia natura soggetto corporativo, stavolta credo sia utile specificarVi che gli avvocati non hanno nulla ha che fare con questa “novità”.
L’abbiamo combattuta per quanto è stato possibile.
Siamo però in una fase di debolezza rappresentativa eccezionale e non riusciamo a farci ascoltare dai cittadini e dai loro rappresentanti in parlamento.
Il caso di Bruno Contrada arriva ad illuminare questa riforma.
Proiettando, ad onore del vero, solo ombre e nessuna luce.
Buona giornata e buona fortuna a tutti !
*avvocato penalista